L’ipocrisia dell’omertà. Curve e società

Ott 3, 2024 | Attualità, Opinioni


Daniele De Luca, giornalista professionista, milanista. Dopo una lunga esperienza a Radio Popolare Milano, AGR, CNRMedia e altre collaborazioni da alcuni anni si occupa principalmente di comunicazione istituzionale e ufficio stampa. 


Gli stadi sono lo specchio della società che li popola, forse non ci piace specchiarci dentro

L’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nelle curve di Inter e Milan è un fatto clamoroso e conferma quanto già sappiamo da tempo: la criminalità organizzata si infila in qualsiasi settore economico con metodi diversi rispetto al passato.

Le cosche si alleano tra loro per gestire in maniera trasversale gli affari più diversi. Qui addirittura parliamo di tifo organizzato, di due settori di San Siro che da soli ospitano circa 20mila persone dove vari capibastone spadroneggiavano liberamente. Comandavano con minacce, ricatti, violenze, fino ad arrivare agli omicidi. Dentro lo stadio, governando lo spaccio di cocaina, la vendita di birra, la gestione dei biglietti. E fuori lo stadio, gestendo i parcheggi, minacciando venditori ambulanti, rivenditori di merchandising, ristoratori.

Le curve, gli stadi, sono lo specchio della società che li popola. L’evoluzione del tifo organizzato cammina di pari passo con la metamorfosi di una città come Milano. La curva è una zona franca, rigorosamente autonoma rispetto al mondo esterno. I suoi membri si vivono come portatori esclusivi della bandiera e delle tradizioni, interpreti principali del tifo, nonché interlocutori privilegiati dei propri simboli viventi, i giocatori. Rivendicano un ruolo dominante non solo in generale nell’intera scena dello stadio, ma in particolare nei confronti del pubblico generico. Come fosse ieri.

Invece era il 1990, quando il mai abbastanza rimpianto professor Alessandro Dal Lago pubblicò il prodotto della sua ricerca compiuta nell’arco di due anni sulle curve di Milano, Torino e Bergamo. “Descrizione di una battaglia”, questo era il titolo di un libro che nel suo piccolo fece epoca, svelando anche come il tifo di curva fosse una fonte di legittimazione sociale per coloro che ne officiavano il rito. Perché, ancora pochi anni fa, i capi dei cosiddetti ultrà erano dei reietti. Erano persone obbligate a negare la propria identità, che si coprivano il volto per non essere riconosciute, e che spesso, quando di estrazione borghese, conducevano una vera e propria doppia vita. Gli ultrà vivevano e agivano quasi tutti nelle periferie di Milano. Nei quartieri più remoti e difficili, sede anche dei bar usati come punti di ritrovo. C’erano meno soldi. Non è certo per caso che quando i guadagni e le attività lucrose sono aumentate, la vecchia Curva Sud del Milan, ma vale anche per l’Inter, fu spazzata via. 

Come si legge anche nell’ordinanza della procura, i Commandos Tigre in seguito a un agguato teso dopo un Samp-Milan da altri sedicenti tifosi rossoneri, i nomi dei quali sono oggi noti alle cronache, che si avvalsero di picchiatori professionali provenienti da una palestra di pugilato frequentata da estremisti di destra.

Cambiavano le curve, cambiava anche Milano

La Direzione Distrettuale Antimafia e la Squadra Mobile di Milanhanno scoperchiato il business delle curve di Inter e Milan. Diciannove arresti, di fatto tutti i capi e i capetti dei due gruppi sono finiti in manette. Un’inchiesta “dal valore emblematico”, che “costringe ad aprire gli occhi su una realtà di rischi evidenti da tempo di deriva criminale negli stadi italiani e di condizionamenti criminali della vita delle società. “Bisogna smettere di far finta di niente” ha detto il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo.

Ecco, vorrei soffermarmi proprio su questo aspetto, sul “far finta di niente”.

L’omertà è infatti la cifra che ha contraddistinto tutta l’indagine di Milano, frutto di diversi filoni partiti anni fa che si sono infine riuniti in un unico fascicolo. Omertà che ha riguardato tutte le vittime dirette: dai piccoli bagarini e venditori di magliette taroccate pestati perché dovevano guadagnare gli ultras; agli imprenditori titolari di appalti pubblici per la gestione dei parcheggi, prima taglieggiati, ma che poi hanno finito per entrare nel circolo della protezione ‘ndranghetista contro eventuali concorrenti; fino ai dirigenti nerazzurri, che per per non avere problemi, hanno assecondato – con sudditanza – tutte le richieste dei “tifosi”.

Le intercettazioni sui dialoghi tra i capi ultrà della Nord e l’allenatore Simone Inzaghi a pochi giorni dalla finale di Champions League sono emblematiche e mettono la pelle d’oca. Qui il punto non è criminalizzare l’allenatore dell’Inter. Il punto è che un famosissimo professionista dello sport, un personaggio pubblico, a poche ore da un appuntamento cruciale per la sua carriera, qualcosa che potrebbe capitare una volta nella vita, si sente in dovere di rispondere al ricatto di un capobastone.

“O fai in modo di farci dare più biglietti dalla società oppure noi facciamo lo sciopero del tifo”. E Inzaghi si muove, chiama i vertici, si trovano centinaia di biglietti in più. Scrive il gip Domenico Santoro, “le indagini condotte hanno evidenziato che la società interista si trova in una situazione di sudditanza nei confronti degli esponenti della Curva Nord, finendo, di fatto, per agevolarli seppur obtorto collo”.

Ma se una squadra come l’Inter, o il Milan, o la Juve nel recente passato, sono succubi degli affiliati alle ‘ndrine, come può un commerciante, un ristoratore, un imprenditore avere la forza di ribellarsi al ricatto? Ci allarmiamo e invochiamo sicurezza, e giustamente, per le denunce di reati come i piccoli furti, gli scippi, i fenomeni correlati al degrado urbano.

Ma l’allarme sociale davanti al racket, alla criminalità mafiosa, sembra essere svanito. L’alleanza tra le curve di Inter e Milan nel nome del racket e degli affari ha portato a una “tregua” dal punto di vista dell’ordine pubblico di cui, paradossalmente ma non troppo, tutti hanno goduto. E nel nome del quieto vivere si preferisce non vedere, non denunciare, lasciare fare.

Però poi arrivano i morti ammazzati. Poi ci sono stati due omicidi, il primo nel 2022, quando viene ammazzato Vittorio Boiocchi, Curva Nord. Gli sparano in faccia sotto casa sua, nel quartiere di Figino. Secondo gli investigatori, un assassinio legato proprio ai dissidi per la spartizione degli introiti in curva e alle scalate di potere. Boiocchi era stato protagonista di estorsioni e intimidazioni legate alla gestione dei parcheggi. Di quell’omicidio poco si sa ancora oggi, se non che sono stati usati dei proiettili di produzione cecoslovacca mai usati prima in nessun agguato in Italia.

Il 4 settembre di quest’anno Antonio Bellocco, ancora Curva Nord, rampollo della ‘ndrangheta di Rosarno.  Ad ammazzarlo l’ex storico capo ultras nerazzurro, Andrea “Berro” Beretta, che avrebbe scoperto di avere un mirino sulla testa e avrebbe così giocato “d’anticipo” accoltellando Bellocco, che da oltre un anno era sempre più vicino ai vertici della Nord, a conferma dell’ipotesi investigativa che vorrebbe le ‘ndrine sempre più interessate al mondo degli ultras. Tanto che per la Nord l’accusa è di aver favorito una famiglia ‘ndranghetista.

Dopo l’omicidio, la curva interista si è riorganizzata cambiando nome – da Curva Nord 1969 Milano a Curva Nord – come aveva fatto anni prima la Sud. Ma è stato proprio questo ultimo omicidio ad accelerare i vari filoni di inchiesta accumulati negli ultimi dieci anni sulle curve e a portare agli arresti di questi giorni.

E le società di calcio? il procuratore di Milano Marcello Viola ha spiegato che le società sono soggetti danneggiati, “sono parti offese”, avendo introdotto sistemi per prevenire gli illeciti, che hanno mostrato “profili di criticità”. Un modo elegante per dire che quei “sistemi per prevenire gli illeciti” hanno toppato alla grande, evidentemente. Sia nel prevenire, sia nel denunciare.

Ma, possibilmente, c’è anche di peggio. Lunedì 30 settembre in procura a Milano si è tenuta una conferenza stampa a cui ha partecipato anche il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. In conferenza ha detto che «il mio ufficio da tempo ha aperto una unità di analisi e impulso investigativo, un gruppo di lavoro che si occupa del condizionamento criminale delle attività sportive» e delle «logiche che sdoganano negli stadi la propaganda antisemita e razzista». Aggiungendo poi che è un’inchiesta dal «valore emblematico» e che «costringe ad aprire gli occhi su una realtà di rischi evidenti da tempo di deriva criminale negli stadi italiani e di condizionamenti criminali
della vita delle società. Bisogna smettere di far finta di niente».

Ecco, smettere di fare finta di niente. È successo e succede in tutti gli stadi d’Italia che piccoli gruppi criminali si infiltrino nel tifo organizzato. Succede a Roma, a Napoli, a Genova, a Torino. Le società di calcio sembrano essere impotenti, se non delle volte addirittura colpevolmente conniventi.  Non sembra essere questo il caso, Inter e Milan sembrano vittime di questo sistema ma perché non hanno denunciato prima?

In quanti casi si lascia correre? I ‘tifosi’ normali sono affascinati dalle coreografie, vengono coinvolti nell’euforia del momento e non possono certo essere colpevolizzati ma nessuno si fa troppe domande. Del resto, non ci facciamo troppe domande nemmeno se vediamo un locale notturno del nostro quartiere cambiare nome e insegna ogni sei mesi o se improvvisamente un centro massaggi viene fatto chiudere. 

Chi denuncia chi, oggi? Nel 2020 le istanze di accesso al fondo di solidarietà per chi è vittima di racket presentate in Lombardia sono state 15 per estorsione e 26 per usura. Sono scese nel 2021, per arrivare, nel 2022, a 8 per estorsione e 9 per usura. I dati, aggiornati a marzo 2023 ci danno un’indicazione di un’ulteriore decrescita: una sola istanza per estorsione e 4 per usura. In Lombardia la riduzione delle denunce per usura tra il 2021 e il 2022 è stata del 21,4%. A Milano città, la riduzione è stata addirittura del 71,4%, mentre il dato nazionale si ferma ad una diminuzione del 10.9%. In valori assoluti si può dire che in Lombardia (la regione più ricca) si denuncia pochissima l’usura: 14 denunce contro le 32 della Campania e le 30 della Puglia secondo i dati ISTAT del 2023.  

Non tutti coloro che vanno in curva sono criminali, anzi, su 15/20 mila persone parliamo di poche decine. Ma quelle poche decine godono di un potere che sembra illimitato e che gli viene concesso anche da un ‘lasciamo fare’ , da una indifferenza che non è più tollerabile. La colpa della criminalità in curva è anche di ogni singolo tifoso che la curva lo frequenta, così come ogni cittadino dovrebbe aprire gli occhi davanti al malaffare che circonda la nostra quotidianità .

Per questo prima di condannare Simone Inzaghi che obbediente esaudisce gli ordini di un capobastone dovremmo guardare, prima, anche a noi stessi. E ripensare a cosa sia la “sicurezza” e a cosa sia davvero criminale.

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