di Laura Orsenigo | Giornalista
Una mamma che allatta. Un’immagine tenera, universale, primordiale direi, può diventare terreno di scontro perché considerata “divisiva”? Sì, succede a Milano. Il caso è scoppiato qualche giorno fa quando la famiglia della scultrice Vera Omodeo si è vista bocciare la richiesta di donare un’opera della madre, scomparsa da poco, al Comune di Milano per essere esposta in una piazza.
L’opera in questione, una scultura in bronzo ad altezza naturale, ritrae appunto una giovane donna che allatta un neonato. Il titolo esplicativo: “Dal latte materno veniamo”. La commissione però chiamata a valutare l’opera e decidere in merito al suo posizionamento, composta da tecnici comunali e dalla Soprintendenza alle Belle Arti, ha sentenziato che “la scultura rappresenta valori rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutte le cittadine e i cittadini, ragion per cui non viene dato parere favorevole all’inserimento in uno spazio condiviso”.
Una motivazione che ha lasciato basiti i figli dell’artista e che li ha portati a condividere la vicenda sulla stampa. Il loro sdegno ha trovato eco nella voce di moltissime persone, associazioni, politici, persino del per nulla tenero Sgarbi che ha commentato: “L’iconografia della madre che allatta è trasversale a tutta la storia dell’arte, basti pensare alla Madonna con bambino rappresentata da duemila anni. Tutti veniamo da una madre e l’idea che questo valore sia da respingere riguarda solo la mancanza di sensibilità da parte di chi si trova a decidere a Milano su questo tema”.
Persino il sindaco di Milano Sala si è dissociato dalla decisione della commissione tecnica e ha proposto di collocare la statua all’interno della Clinica Mangiagalli. Una soluzione però che alla famiglia non sembra adeguata, preferirebbero un luogo pubblico, di passaggio. E personalmente lo capisco, soprattutto perché tutto il clamore sollevato ha caricato questa opera di significati e valori ancora più ampi e profondi. Ad esempio ha permesso di scoprire che le statue di donne a Milano sono, attualmente, solo tre. Tre contro 124 dedicate ad uomini. E solo 2 opere sono realizzate da artiste donne.
O ancora che, estendendo il campo a tutta Italia, le figure femminili rappresentate nelle statue sono, nella stragrande maggioranza dei casi, nude o comunque sessualizzate, sia che si tratti di una Spigolatrice (a Sapri) o di una Lavandaia (a Bologna) o, persino, di Ilaria Alpi. Già, anche lei e la collega giornalista Maria Grazia Cutuli uccise sul fronte sono raffigurate nude nel monumento ad Acquapendente. Ma perché? E lì nessuno ha pensato che quella iconografia potesse “non essere condivisibile”, no. O meglio, qualche polemica c’è stata, ma sono lì, in pubblico. E invece la mamma che allatta no, lei deve stare nascosta. Al massimo nel giardino di un reparto di ostetricia. Ma “c’è ancora domani” e spero lo sia anche per lei, per noi tutte e tutti.