Lavoro fragile, lavoro protetto: come trasformare gli ostacoli in opportunità

Mag 29, 2024 | Opinioni

Qui sopra, “Il quinto stato” dell’illustratore Hernán Chavar, che reinterpreta in chiave contemporanea il celebre dipinto di Giuseppe Pellizza da Volpedo del 1901


Sara Santi, operatrice sociale, vanta oltre dieci anni di esperienza nell’ambito delle politiche attive del lavoro, con particolare riferimento all’inserimento di persone portatrici di svantaggio


Il diritto al lavoro e cosa si può fare per garantirlo anche ai cittadini più fragili

L’articolo 1 della Costituzione Italiana recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Quale Paese più del nostro può dire di aver posto il lavoro al centro della propria idea di Stato, del proprio paradigma culturale? Ma di quelle parole scritte dall’assemblea costituente oggi, nell’agenda programmatica e nelle strategie politiche di settanta anni dopo, che cosa è rimasto? Come vengono quotidianamente tradotte queste intenzioni? La domanda si fa ancora più stringente e puntuale quando si parla di persone fragili, le cosiddette categorie protette, per le quali sono previsti percorsi descritti nella legge 68/1999.

Il presupposto è che, grazie a sgravi fiscali, agevolazioni e dispositivi di inserimento graduale (quali borse lavoro e tirocini) anche persone che, in regime di libera concorrenza faticherebbero a collocarsi, possano avere la loro opportunità. Il lavoro però, come per ognuno di noi, non è solo operatività retribuita, produzione di servizi o di manufatti, è relazione, crescita e, soprattutto, radicamento e sviluppo di due componenti chiave dalla natura umana: i principi di autodeterminazione e di senso di competenza1.

Dovendo rappresentare il primo, e darne un’immagine emblematica, utilizzeremmo sicuramente “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, quadro nel quale emerge il principio di autodeterminazione in chiave sia individuale sia collettivo. Il lavoro, nella sua forma più compiuta, dovrebbe permettere di cooperare e agire insieme verso obiettivi comuni, valorizzando però i talenti, ancor più che le competenze e le abilità, del singolo.

Il processo biunivoco per il quale il principio di autodeterminazione individuale e collettivo sono sempre in co-costruzione diventa principio cardine negli inserimenti lavorativi di categorie protette e svantaggiate. Fare realmente inclusione mediante il lavoro è dare spazio alle individualità, al netto di fatiche e limitazioni, facendo sì che il lavoro sia un luogo di valorizzazione dell’individuo e di crescita di competenze tecniche e trasversali.

La puntualità, la precisione, il rispetto delle consegne, dei tempi e le relazioni con colleghi e superiori, insieme alle specifiche tecniche di lavoro, sono strumenti di formazione da una parte e di valorizzazione dall’altra. Ed è qui che il principio di autodeterminazione incontra quello di senso di competenza che è la meta-consapevolezza di ciò che si sa fare, che si riesce a fare bene e nel quale esprimiamo al meglio le nostre abilità, ma anche la nostra natura. Il senso di competenza è quindi la strada per aumentare l’autostima, la fiducia in sé stessi e la percezione del proprio valore.

Questo percorso è di grande importanza per le persone che arrivano da percorsi di malattia o da disturbi psichiatrici più o meno conclamati, così come da periodi di tossicodipendenza, ludopatia o reclusione in carcere. Su questo è nota una delle frasi più famose di Albert Einstein: “Chi attribuisce alla crisi i propri fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza”. Il lavoro si fa quindi occasione per mettere in luce e dare maggior rilevanza a ciò che si sa fare, prestando di contro meno attenzione a ciò che manca o che complica il proprio percorso di autonomia, in cui la componente economica-finanziaria, data dal lavoro, è fondativa e basilare.

Questi due principi sono quindi gli ingredienti fondamentali di percorsi di inserimento lavorativo che non siano fine a sé stessi e un vuoto a perdere. Il rischio è infatti che percorsi di inclusione poco pensati e non finalizzati ai principi sopra-citati, si trasformino in semplici atti orientati all’ottenimento di sgravi per l’azienda e all’operare un’azione caritatevole e ‘pietistica’ verso la persone beneficiaria dell’inserimento. Questo rischio è quanto mai attuale in questo momento storico, in cui si fatica ad andare oltre azioni frammentate, strutturate a voucher. Questa modalità di lavoro diminuisce la possibilità di approfondimento dei percorsi di vita, di scoperta e valorizzazione dei talenti e delle passioni individuali, rendendo l’inserimento lavorativo un’azione standardizzata e quindi poco in grado di dare alle persone un futuro occupazione vero e proprio.

Tornare a percorsi di inserimento lavorativo pensati e finalizzati sarebbe possibile personalizzando le azioni di presa in carico dell’utenza e proponendo percorsi di inserimento lavorativi efficaci,  con attenzione anche alla società in cui è inserita la risorsa e al territorio in cui abita, utilizzando in modo più strutturato e opportuno i dispositivi di avvicinamento al mondo del lavoro, come borse lavoro e tirocini. Questi ultimi vengono, infatti, troppo spesso utilizzati come modalità di supporto economico spot, che nulla hanno a che vedere con quella che dovrebbe essere la loro funzione, ovvero la creazione di un reale ponte verso un posto di lavoro adatto alla persona.

La voucherizzazione degli interventi ha poi reso molto difficile integrare i vari servizi, sanitari e specialistici, con gli enti e le agenzie per il lavoro, che rischiano così di continuare a lavorare su binari paralleli. Il lavoro è da sempre la strada non solo verso l’autonomia economica, ma anche un forte meccanismo preventivo all’emarginazione sociale, alla recidiva di dipendenze o comportamenti anti-sociali e cronicizzazione-peggioramento di situazioni sanitarie. “Lavorare per il lavoro” è dunque mettere un tassello fondamentale per la costruzione di una società che estenda i privilegi, tanto da farli diventare diritti.


1 Per approfondire si veda questo articolo, che declina il concetto secondo quanto proposto da Bernard Ray

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