Neo-genitorialità e assenza di politiche pubbliche

Feb 7, 2024 | Attualità

neo-genitorialità

di Rossella Pesenti

I fatti di cronaca che raccontano le difficoltà di essere genitori oggi si susseguono, con relative cacce alle streghe per individuare i genitori, più spesso la madre, colpevoli dell’abbandono.

Giovedì scorso un neonato di circa un mese è stato trovato solo, abbandonato in via degli Apuli, l’anno scorso si parlava di un altro caso, sempre a Milano, il piccolo lasciato nella Culla per la vita dell’ospedale Mangiagalli. Anche in quell’occasione, l’opinione pubblica spinse per avere informazioni sulla madre, per capire chi fosse, quali problemi avesse, quale fosse la grande tragedia che l’aveva messa nella condizione di lasciare il proprio bambino; lo stesso sta accadendo con quest’ultimo caso.

Natalità e genitorialità vulnerabile

Il focus, quindi, è sempre sulla ricerca dei responsabili, verrebbe quasi da dire dei colpevoli, mentre è quasi assente una riflessione sulle cause, o eventualmente sulle possibili azioni di prevenzione. Siamo di fronte a scenari sociali in costante mutamento, con un progressivo impoverimento dei territori, delle famiglie, e una tendenza, ormai da decenni, a rendere la genitorialità un fatto privato, giocato tra le mura domestiche, spesso in assenza di reti di sostegno ai neo-genitori.

Da un lato assistiamo a una classe politica che sostiene a gran voce la necessità di tornare ad avere figli, per contrastare il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, dall’altro latitano le politiche orientate al reale sostegno dei genitori, alla promozione della ricerca di un reale punto di equilibrio tra diritto al lavoro e diritto alla genitorialità.

Eppure sono molti gli studi (1) che mostrano i benefici sociali ed economici per gli individui e le società nel breve, medio e lungo periodo che si ottengono investendo in politiche educative per la prima infanzia. E non mancano, per altro, neppure le esperienze di successo, anche storiche, in Italia: citiamo, ad esempio, tutto quello che ha significato, nei Settanta, il percorso di Reggio Children, con l’incontro pedagogico tra Loris Malaguzzi e Gianni Rodari.

(1)  A partire dal nobel James Heckman, in sociologia si sono succeduti gli studi che dimostrano come la fascia 0/6 anni sia quella più sensibile e recettiva su cui investire per contrastare la povertà educativa e garantire accesso a maggiori opportunità fin dall’infanzia.

Gli investimenti e il piano nazionale di ripresa e resilienza, l’occupazione femminile

Il PNRR ha previsto un forte investimento sulla costruzione di servizi educativi nella fascia 0/3 anni, promuovendo su tutto il territorio nazionale l’incremento dei posti negli asili nido, per arrivare a coprire il fabbisogno nazionale. Ciononostante, ad oggi la copertura riguarda meno del 33% della popolazione tra i 3 e i 36 mesi di età, percentuale che si vuole raggiungere entro il 2027, come indicato dalla Legge di Bilancio n. 234/2022, che introduce il livello minimo da garantire.

Gli squilibri, ovviamente, tra Nord e Sud sono molto evidenti, soprattutto se si incrociano i dati tra servizi per la prima infanzia ed occupazione femminile. Quest’ultima è ancora una nota dolente per il panorama italiano, con poco più di 4 donne su dieci occupate nel Mezzogiorno (2).

L’assegno unico universale: uno strumento da migliorare

Le madri che lavorano hanno un rischio doppio di perdere il posto di lavoro entro i due anni dal parto rispetto agli uomini, condizione di maggior rischio che si attenua successivamente ma è presente fino ai 15 anni di età dei figli. Le politiche a sostegno del reddito, che hanno visto l’introduzione dell’assegno unico universale con il decreto legislativo 230/2021, sono ancora lontane dall’essere realmente supportive per le famiglie. L’assegno ha il merito di aver superato la frammentazione e ha permesso ad un maggior numero di famiglie di poterlo ottenere, anche se ad oggi l’importo è molto basso e di fatto non costituisce un reale sostegno al reddito e un reale incentivo alla filiazione.

Peraltro, ci sono ancora delle forti criticità in merito all’erogazione per le famiglie affidatarie, ulteriore elemento che rimanda all’idea di una filiazione naturale, che avviene all’interno di vincoli chiari e normati, lasciando fuori o rendendo più difficoltoso l’accesso a chi è considerato genitore di serie B. Ma sono molte le criticità rispetto all’assegno, che ha comunque il pregio di essere un primo tentativo di sostegno universale (quindi accessibile a tutti, senza limiti di reddito). Le evidenze empiriche indicano la necessità di investire in politiche di occupazione per le donne, anche nei termini della conciliazione dei tempi, piuttosto che erogare un contributo economico che, di fatto, disincentiva e ha un effetto di scoraggiamento rispetto all’aumento del reddito familiare.

Genitorialità come scelta tra supporti mancati, contesto prestazionale e fallimenti incombenti

Fare figli è diventato nel corso dei secoli sempre più una scelta, e non una tappa “obbligata” all’interno del percorso di vita. Spesso si sceglie di fare figli se si ha una posizione lavorativa consolidata e un’organizzazione familiare che permetta di sostenere malattie dei bambini, e quindi eventuali assenze dal lavoro, disponendo al contempo di risorse economiche che consentano di accedere a servizi aggiuntivi (attività sportive, culturali, ricreative).

Al pari, non si può non considerare il contesto di un welfare che resta ancora incentrato su un’idea – sempre più astratta e sempre più lontana dalla realtà – di famiglia tradizionale, in cui, quasi sempre, i carichi di cura sono regolati all’interno delle famiglie stesse (3). Come ulteriore elemento, diventare genitori crea una sorta di palcoscenico in cui bisogna dimostrare di essere competenti: empatici con il neonato, sintonizzati sui suoi bisogni, ma al contempo attenti alla dimensione della coppia, pronti a rientrare nel mondo del lavoro, e sempre orientati alla crescita professionale, aggiornati sugli ultimi trend topic in fatto di educazione, istruiti e lettori di molteplici testi sulla buona crescita dei figli, pronti a scegliere corsi di teatro, reading in diverse lingue, sport e corsi di avviamento allo sport, in un gioco di equilibri, di responsabilità, di risposte alle attese del mondo che sfinirebbero il più forte ed equilibrato degli essere umani. Con simili premesse, l’esperienza della genitorialità rischia di trasformarsi in un susseguirsi di errori, di tentativi sbagliati, di piccoli e grandi fallimenti.

 (2) I divari di genere nel mercato del lavoro italiano, sebbene inferiori rispetto al passato, continuano a collocare il nostro paese in una posizione arretrata nel confronto con le altre principali economie europee. Nel 2022 il tasso di occupazione femminile era inferiore di 18 punti percentuali rispetto a quello maschile; inoltre le donne occupate hanno più di frequente impieghi di tipo temporaneo e part-time, anche se una lavoratrice a tempo parziale su due sarebbe disponibile a lavorare a tempo pieno. La minore quantità di lavoro, insieme a retribuzioni orarie più basse, si traduce in redditi annui mediamente inferiori a quelli degli uomini”. Relazione annuale della Banca d’Italia 2022.

(3) Ad oggi, però, spesso i neo-genitori non possono contare sui nonni, perché ancora occupati, o, se pensionati, dediti ad attività multiple

I giusti e gli sbagliati, il dritto e il rovescio: i colpevoli di avere bisogno

Diventiamo adulti intanto che cresciamo i nostri figli, ma loro il più delle volte non lo sanno. L’ansia, la preoccupazione, il dubbio sono all’ordine del giorno: sopravvive chi è più strutturato, chi ha potuto costruire la propria identità in modo equilibrato, chi ha intorno persone benevole, pronte a supportare il neo-genitore anche negli errori e nelle difficoltà. Il neo-genitore ha bisogno di sapere che può sbagliare e che al contempo le persone che sono intorno a lui lo sostengono, promuovendo un cambiamento, un miglior avvicinamento al bambino, sollevando e condividendo le responsabilità e le solitudini che spesso si vivono.

Ma c’è di più: il richiamo al sostegno per i neo-genitori spesso è alle associazioni, alle parrocchie, ai gruppi di auto-mutuo aiuto, al Terzo Settore, al volontariato. Come a rimarcare che l’aiuto, per chi è più vulnerabile, arriva attraverso circuiti di prossimità informale, perché chi ha bisogno è in qualche modo colpevole di aver bisogno, non necessita di un aiuto strutturato, certificato, studiato. Ha bisogno di qualcuno che, come opera pia, lo possa sostenere perché si trova a vivere una condizione di svantaggio, di difficoltà, che non è connaturata al momento che sta attraversando, ma che dipende da sue particolari carenze.

Neo-genitorialità e difficoltà da accogliere

L’essere neo-genitore è invece strutturalmente una condizione di difficoltà: nel ritrovare nuovi equilibri, nell’occuparsi di un piccolo essere senza averne mai fatto esperienza, nell’approcciare ad un mondo che grida “Fate figli” ma che al contempo rende difficile l’esercizio stesso dell’essere genitore. Il nostro Paese ha bisogno di politiche strutturali a sostegno della genitorialità: è lo Stato, secondo il nostro avviso, che dovrebbe farsi carico dell’esperienza, che dovrebbe sostenere la maternità e la paternità con interventi strutturali, sia economico-finanziari, sia educativi.

Neo-genitorialità come fatto pubblico, un valore per la collettività

La Francia investe il 4% del PIL in politiche a sostegno della genitorialità: contributi economici, servizi educativi, servizi di sostegno alla conciliazione, politiche abitative a sostegno dei giovani e delle giovani coppie, diffondendo, con questi strumenti, dei messaggi che sono molto chiari: fare figli è un’azione di valore per la collettività, e come tale viene promossa e sostenuta. Fare figli diventa dunque un fatto pubblico: non più privato, giocato all’interno delle mura domestiche, scelta esclusivamente personale. Dal 2012 anche in Italia non si parla più di patria potestà, ma di responsabilità genitoriale nei confronti dei figli, sulla quale vigila ed è chiamata ad esprimersi, laddove non esercitata coerentemente, l’autorità giudiziaria: insomma, evidentemente, non un fatto privato.

L’Italia e la latitanza di servizi e di visione pubblica

Dove sono dunque le istituzioni, verrebbe da chiedere, di fronte a una schiera di genitori in difficoltà? Lo stato ha smantellato progressivamente molti servizi sociali e socio-sanitari di prossimità alle famiglie: in Lombardia la riforma sanitaria del 2016 ha generato uno tsunami in relazione, ad esempio, ai consultori familiari, che sono rimasti in piedi a fatica. Eppure i consultori sono stati i luoghi in cui le neo mamme hanno trovato sostegno, accoglienza, personale qualificato che aiutava e rinforzava i difficili primi mesi di vita dei bambini. Intercettava le situazioni al limite, interveniva in maniera preventiva sui rischi da depressione post partum, incontrava e si relazionava con i neo-genitori in diversi momenti, mantenendo dunque un controllo e un monitoraggio sulle situazioni. Il personale qualificato garantiva nella maggior parte dei casi, un incontro “laico” tra neo-genitori e servizi istituzionali: oggi spesso questi servizi, privatizzati e all’interno di organizzazioni confessionali, rischiano di perdere il loro carattere di universalità e rimanere una risorsa per pochi, frequentemente per chi di quella risorsa ha meno bisogno.

Politiche per l’infanzia e per la genitorialità come livello essenziale

L’Alleanza per l’Infanzia in un recentissimo documento ha delineato alcune raccomandazioni per il governo e per i comuni e gli ambiti sociali: le politiche sociali, a tutti i livelli, dovrebbero guardare al tema dell’infanzia e al sostegno per i genitori come ad un livello essenziale, da garantire uniformemente sul territorio italiano, promuovendo l’idea che contrastare la povertà educativa nelle fasce 0/6 anni vuol dire promuovere politiche a sostegno dei genitori, garantendo l’accesso ai sistemi educativi a tutti i bambini, per evitare di incorrere, nuovamente, in situazioni tragiche, di cui fanno le spese proprio i più piccoli.

Di contro, l’idea che l’informazione dovrebbe puntare non tanto sulla colpevolizzazione del singolo genitore, ma provare a guardare al sistema nel suo insieme, non per assolvere ma per comprendere, da una parte, e provare a trovare soluzioni di sistema che contrastino la solitudine e la difficoltà di molti cittadini e cittadine che si trovano a vivere situazioni difficili senza avere vie d’uscita.

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