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“Non ho mai deciso per me”: violenza di genere e percorsi di autonomia nel progetto SAI

Nov 29, 2024 | Migranti, Servizi

di Valentina Danielis, psicologa

Il progetto SAI donne di Locate di Triulzi garantisce interventi di accoglienza integrata che, oltre ad assicurare servizi di vitto e alloggio, prevedono in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.

Il senso del percorso di accoglienza vissuto dai titolari di protezione internazionale, che si snoda in un arco temporale di durata variabile, passa dalle strutture di primo arrivo sino ai centri di seconda accoglienza e il progetto potrebbe essere riassunto nella necessità di accompagnare e sostenere l’identificazione, la rielaborazione, la messa a punto di un progetto migratorio realistico e che possa trasformarsi in un progetto di vita.

Il supporto psicologico

Il supporto psicologico si inserisce in questo scenario che non può trascurare la ricerca della salute e del benessere psicologico e relazionale, le donne che giungono in un centro SAI arrivano da esperienze migratorie e da percorsi di prima accoglienza molto diversificati, sono caratterizzati da diversi livelli di stabilità psicologica, di motivazioni all’autonomia, di aspirazioni e di chiarezza rispetto al progetto di vita di cui sopra si è fatto cenno.

Il caso di K., una beneficiaria del progetto SAI di Locate Triulzi, è emblematico rispetto alla necessità di questa attività e non è purtroppo isolato. Se nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre l’attenzione è focalizzata sui numerosi casi di maltrattamenti e femminicidi in Italia, che riguardano per la maggior parte situazioni intra-familiari, per le donne accolte nelle nostre strutture un background di violenza nel proprio paese, nel viaggio migratorio (e a volta anche in Italia) è infatti diffuso.

Una storia di violenze

Nella stanza del colloquio con K. emerge una storia di violenze che si intrecciano tra quella fisica psicologica e sessuale; non è una violenza episodica ma si sviluppa nel tempo. La beneficiaria accolta con dignità e coraggio narra di sé del suo essere bambina e subire le mutilazioni genitali, nel racconto la bambina non sa perché accade ma gli altri intorno decidono per lei. Decidono per lei anche quando all’età di 12 anni viene data in sposa a un uomo “grande” che lei deve servire: cucinare, accudire la casa e concedersi a lui “non volevo e proprio perché non volevo per sottomettermi ero costretta avere rapporti sessuali con i suoi amici”, “ero punita con le botte”, la vita era minacciata continuamente. La voce del racconto ha un ritmo lento, è flebile quasi a sussurrare gli eventi. Il modo di stare nella relazione di aiuto le ha permesso di autorizzarsi a soffrire, entrare in contatto emotivo con quelle esperienze. Nel percorso di cura può domandarsi perché le è accaduto, guardare a sé da una posizione diversa che è una posizione scomoda ma che le consente di rendersi consapevole oggi degli effetti che gli abusi hanno sul suo senso di identità e ne risulta un senso di sé fragile e vulnerabile.

Conoscere e riconoscere la violenza di genere

Il lavoro di supporto psicologico si è centrato sul bisogno di conoscere la violenza di genere per riconoscerla negli effetti su di sé nel tentativo di ristrutturare e promuovere quelle parti volte al contenimento della paura e dello smarrimento; “adesso mi sento una persona, prima non ero niente” oggi è possibile guardare l’altro, costruire relazioni (tirocinio, lavoro, scuola di italiano… ), stare nella relazione con meno timore e nella possibilità di un rispecchiamento di sé positivo perchè le interazioni sono basate su principi di parità e di rispetto.

Il lavoro del SAI segue l’imperativo etico del “agisci sempre in modo da aumentare le possibilità di scelta” (cit. Heinz von Foester 1987)

La possibilità della scelta

L’accompagnamento “gentile” dell’equipe al mondo esterno, il senso di protezione dell’accoglienza a misurarsi con nuove esperienze che vedono la donna scegliere: “io non ho mai deciso per me”, risuona continuamente nelle attività quotidiane e diventa difficile ogni cosa anche la più semplice come prendere i mezzi di trasporto pubblico, fare una vista medica e presentarsi ad un colloquio di lavoro. L’integrità della persona è minacciata nella sua incapacità di decidere per sé, il lavoro degli operatori offre un supporto alla scelta mostrando le alternative possibili, accompagnando ad agire in autonomia rendendo possibile l’incremento della percezione del mondo come un luogo sicuro e fronteggiare le attività senza paura e sentirsi in pericolo.

K. narrando delle sue esperienze di violenza e sottomissione riporta come emozione dominante la paura mostrando un modo che ha di situarsi nei contesti e nelle relazioni come caratterizzato dal timore di agire e di scegliere, impedendosi di utilizzare le sue risorse e fronteggiare la nuova fase di vita nel nostro paese ospitante.

Le relazioni sono sempre state caratterizzate da prepotenza e prevaricazione e disuguaglianza. Stare in un rapporto con queste caratteristiche rischia di minare la propria identità, l’autostima e il senso di efficacia.

Il lavoro psicoterapeutico garantisce un ambiente protetto in cui poter esplicitare e elaborare le esperienze dolorose e traumatiche. Nel caso di K. è stato importante riuscire ad ascoltare sospendendo il giudizio, prendendosi cura del racconto dando un senso utile per lei e compatibile con la sua nuova possibilità di vita. Il lavoro del SAI segue l’imperativo etico del “agisci sempre in modo da aumentare le possibilità di scelta” (cit. Heinz von Foester 1987).

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