Faccia di Quorum 

Giu 6, 2025 | Opinioni


Daniele De Luca, giornalista professionista, milanista. Dopo una lunga esperienza a Radio Popolare Milano, AGR, CNRMedia e altre collaborazioni da alcuni anni si occupa principalmente di comunicazione istituzionale e ufficio stampa. 


Domenica e lunedì si vota per i referendum. Ripetiamo: domenica e lunedì SI VOTA per i referendum

Nel 2015, Giorgia Meloni criticò pesantemente il Jobs Act, sostenendo che non avesse creato nuovi posti di lavoro. Disse che la decontribuzione non legata a un aumento dell’occupazione avrebbe portato solo alla trasformazione dei contratti, senza effettivi benefici occupazionali. Oggi la Destra predica l’astensione per i referendum di domenica 8 e lunedì 9. 

Non entriamo nel merito dei quesiti, alla vigilia del voto pensiamo che ciascuno si sia fatto la sua idea. Entriamo invece nel tema cruciale, ovvero se andare a votare oppure no. L’astensione, sia chiaro, resta un diritto. Diritto di cui ormai la metà degli italiani si avvale a ogni tornata elettorale. Più che una scelta, l’assuefazione a non partecipare alla vita civica del Paese.

Il problema infatti, e non solo in Italia, è proprio la progressiva disaffezione alla partecipazione di una decisione collettiva, l’abitudine e l’etica della delega consapevole. Per chi si trova nella stanza dei bottoni il cartello ‘non disturbare il manovratore’ è la manna dal cielo, è la condizione ideale. Per permettere, per esempio, di stravolgere il codice penale inventandosi 14 nuovi reati e ponendo il Parlamento davanti all’obbligo di accettare le decisioni dell’esecutivo, così come è successo per il Decreto Sicurezza.

Dunque, il manovratore oggi non vuole essere disturbato né dal Parlamento né da chi lo elegge. Lo strumento del Referendum abrogativo, appeso al quorum, è esattamente quello che in questo momento può dare più fastidio.

Soprattutto l’astensione evocata come “diritto” fa molto comodo a una parte politica che, numeri alla mano, si trova oggi a poter disporre liberamente delle leve del potere pur avendo ottenuto alle elezioni le percentuali più basse della storia repubblicana.

Perché è bene ricordarsi che se oggi la Destra è al governo è proprio grazie all’astensione che si è registrata alle ultime elezioni politiche. Ed è su questo semmai che chi fa politica oggi, specialmente all’opposizione, dovrebbe riflettere. Giorgia Meloni guida con fare dittatoriale un governo votato da meno di un quarto degli italiani. Per la precisione, il 28% del 60% degli aventi diritto. Sono i numeri a dirlo (e, ripetiamo, una legge elettorale che di democratico ha ben poco). 

Cosa è successo alle ultime elezioni e perché Meloni vuole l’astensione? Che relazione c’è tra questo referendum e le ultime politiche? Ma soprattutto, perché è proprio l’astensione invocata dalla Destra la vera chiave di volta di questa tornata referendaria?

La mossa astuta (ma a Roma si direbbe paracula) del dire “vado al seggio ma non ritiro la scheda”, che è un po come dire “vado al cinema ma chiudo gli occhi”, è la sintesi perfetta tra tatticismo politico e abito istituzionale.

Perché l’astensione è di destra 

Oggi l’astensione, se davvero per scelta di coscienza, è un atto di destra. È lo scardinamento ultimo del processo democratico. Alle elezioni del 25 settembre 2022 hanno partecipato poco più del 60% degli aventi diritto (esattamente il 63,90%). Poco più di 6 italiani ogni 10, il dato più basso della storia repubblicana. Dalle prime elezioni politiche del 1948, che registrarono un’affluenza del 92% e fino al 1979, l’affluenza in Italia è sempre stata superiore al 90%. Il record d’affluenza è stato registrato alle elezioni del 1976 (93,39%): da lì in avanti l’affluenza è calata quasi ad ogni elezione (ad ogni nuova elezione, cioè, si registrava un record negativo), ma si è sempre mantenuta sopra l’80% fino al 2006. Nel 2008 si è scesi al 78,1%, nel 2013 al 75% e, infine, nel 2018 (le più recenti elezioni) il dato è calato al 72,94%. Il 63,91% di affluenza delle elezioni del 2022, peraltro, non rappresenta il record negativo non solo in senso assoluto, ma anche in senso relativo: registrando un crollo di quasi 9 punti percentuali rispetto alle elezioni precedenti, rappresenta la più brusca discesa della storia.

La coalizione di centrodestra, formata da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia è stata quella più votata, ricevendo il 43,79% del totale voti espressi per l’elezione della Camera dei Deputati e il 44,02% di quelli espressi per l’elezione del Senato della Repubblica. Al suo interno la lista che ha ricevuto più voti è stata quella Fratelli d’Italia (che è stato la più votata in assoluto, con il 26% sia alla Camera che al Senato), seguita dalla Lega (8,87% alla Camera e 8,85% al Senato), Forza Italia (8,11% alla Camera e 8,27% al Senato) e infine da Noi Moderati (0,9% sia alla Camera che al Senato). La coalizione di centro-sinistra, formata da Partito Democratico, Alleanza Sinistra-Verdi e Più Europa è stata la seconda più votata, ricevendo il 26,13% dei voti per la Camera dei Deputati e il 25,99% dei voti per il Senato della Repubblica. Al suo interno il partito che ha ricevuto più voti è stato il Partito Democratico (19,07% alla Camera e 18,9% al Senato), seguito dall’Alleanza Sinistra-Verdi (3,63% alla Camera e 3,53% al Senato), Più Europa (2,83% alla Camera e 2,94% al Senato) e da Impegno Civico (0,6% alla Camera e 0,56% al Senato). Il Movimento 5 Stelle è stata la terza lista più votata, ricevendo il 15,43% dei voti espressi per Camera e il 15,55% dei voti espressi per il Senato. Il Terzo polo, il 7,79% dei voti espressi alla Camera e il 7,73% dei voti espressi al Senato.

La legge elettorale (a proposito, ma finalmente cambiarla?) distorce il rapporto voto/seggio. Alla Camera dei Deputati il Centrodestra ha avuto poco meno del 44% dei voti, ma ha ottenuto il 59% dei seggi: il sistema elettorale ha fornito un premio del 15% alla CameraAl Senato c’è stato un premio del 13%Il sistema elettorale, cioè, ha trasformato una minoranza in una maggioranza netta di seggi. Una distorsione simile tra voti e seggi ottenuti è avvenuta all’interno della coalizione di centro-destra. Sempre all’interno della Camera dei Deputati, ad esempio, Fratelli d’Italia con il 26% ha ottenuto 118 seggi, mentre Lega e Forza Italia insieme, avendo ottenuto circa il 17% dei voti (8,87% la Lega e 8,28% Forza Italia) si sono visti assegnare, cumulativamente, 110 seggi: una distanza ampia, di ben 10% di voti, ha prodotto, cioè, una differenza minima di 8 seggi. 

Altro aspetto interessante riguarda i voti persi. Per il meccanismo delle soglie di sbarramento (all’1% per le liste coalizzate e al 3% per quelle non coalizzate) circa 1 milione 650.000 voti sono andati persi: circa il 6% dei voti validamente espressi, che quindi si aggiunge alla percentuale, già altissima, di astensioni. Questo significa che la composizione dei seggi è stata determinata dal voto di meno del 60% degli aventi diritto al voto.

L’astensione propagandata come legittimo diritto è in realtà lo strumento grazie al quale i partiti al potere possono impedire che venga messo in discussione lo status quo. L’astensione significa difendere privilegi.

Come altrimenti si potrebbe continuare ad utilizzare il fenomeno dell’immigrazione come fornace di paure e allarmismi sociali? Il quesito sulla cittadinanza non ha nulla a che fare con l’immigrazione, andrebbe a sanare, solo parzialmente, un vulnus clamoroso che oggi obbliga centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi a sentirsi ospiti di questo paese e non cittadini fino al compimento del loro diciottesimo anno d’età. 

Non ha nulla a che fare con le decine di migliaia di persone che cercano di raggiungere il nostro paese. E anzi, l’attuale legge sulla cittadinanza e sull’immigrazione vecchia ormai di 30 anni non fa che favorire le zone d’ombra, lo sfruttamento del lavoro nero, la catena di esclusione sociale che porta a rabbia e a comportamenti deviati. Non è solo ingiusta, è strumentalmente utilizzata per alimentare la ‘guerra tra poveri’. 

Ed è il primo motivo per cui la Destra punta all’astensione, impedire cioè che sia riconosciuto non già il diritto (quello di diventare cittadini italiani) ma l’accesso a questo diritto, costruendo meccanismi ostativi che a nulla servono se non a creare diseguaglianze. 

L’astensione dal voto, soprattutto se promossa attivamente da partiti e leader politici, è una strategia che storicamente appartiene alla destra conservatrice. Non partecipare al voto significa svuotare gli strumenti di democrazia diretta e impedire alla cittadinanza di esprimersi su temi cruciali. Quando la destra invita a non votare, non lo fa per difendere i principi democratici ma anzi per smantellarli. È una forma sottile di controllo: anziché confrontarsi apertamente, si mira a delegittimare il processo stesso. In questo senso, l’astensionismo promosso dall’alto non è solo una scelta tattica, ma un atto antidemocratico, perché nega il principio fondamentale della partecipazione. Ostacolare il voto, specialmente nei referendum, significa trasformare la libertà in passività e impedire il confronto pubblico. Una democrazia sana non teme il voto: lo alimenta. 

Andiamo a votare, poi fate voi. Se chiedete a noi, andremo a votare cinque sì

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