
Daniele De Luca, giornalista professionista, milanista. Dopo una lunga esperienza a Radio Popolare Milano, AGR, CNRMedia e altre collaborazioni da alcuni anni si occupa principalmente di comunicazione istituzionale e ufficio stampa.
Dopo l’esito del referendum c’è chi pensa di riportare l’Italia a 30 anni fa
Non viene detto espressamente, ma in molti corridoi della politica circolano idee di rivalsa dopo l’esito del referendum sulla cittadinanza che pur avendo visto una netta vittoria del sì non ha raggiunto il quorum e ha fatto segnare una importante incidenza dei “no” a livello nazionale.
I dati dimostrano infatti che molte persone che sono andate a votare per il “Sì” nei referendum sul lavoro hanno invece votato “No” per quello sulla cittadinanza. Il 65% ha votato a favore mettendo la croce sul “Sì”, mentre il 35% ha scelto il “No”. I votanti favorevoli al cambio della legge sulla cittadinanza sono stati circa 9 milioni, molto lontani da quella soglia di poco più dei 12 milioni che il Pd aveva indicato nei giorni prima del voto come segnale politico contro il governo.
Ecco perché alcuni a destra vorrebbero cavalcare l’onda adesso, rendendo ancora più stringente la normativa sulla cittadinanza. Portandola, per esempio, dagli attuali 10 a 20 anni. Oppure intervenendo in maniera ancora più restrittiva sullo Ius Soli sportivo, uno strumento di integrazione, che prevede per ragazzi e ragazze che stanno svolgendo un percorso di studio in Italia la possibilità, al decimo anno di età, di essere tesserati alle federazioni sportive esattamente come i loro coetanei nati in Italia. Una possibilità che comunque non permette loro oggi di accedere a tornei, gare e campionati all’estero o di certificare i loro successi sportivi perché fino al diciottesimo anno d’età non sono cittadini italiani.
Per fare un esempio, oggi un Lamine Jamal non potrebbe mai giocare a 17 anni in una nazionale italiana. Chi vuole ulteriormente limitare lo Ius Soli sportivo asserisce che dato il peso dei ragazzi “stranieri” nello sport, sempre crescente (non è colpa loro del resto se gli “italiani” fanno sempre meno figli) serva appunto un ulteriore meccanismo di protezione delle “giovani bianche promesse azzurre”. Insomma, come spesso accade da una mancata riforma potrebbe nascere una preoccupante controriforma.
“Lo sport è un diritto”, dice Mario Beretta
Ne abbiamo parlato con Mario Beretta, allenatore di calcio e dirigente sportivo, membro del comitato della Nazionale Italiana di calcio, insegnante a Coverciano. Insomma, un vero uomo di sport che di giovani promesse ne ha viste passare sotto i suoi occhi a decine, di ogni origine possibile.

«Lo sport è un formidabile motore di integrazione e di inclusione sociale e lo vediamo anche nel nostro Paese dove decine di atleti di origine straniera concorrono nel portare prestigio, record e prestazioni di altissimo livello alle nostre Federazioni sportive. Dobbiamo anche ricordarci che lo sport è entrato nella Costituzione, articolo 33 del 20 settembre 2023, dove si stabilisce che è un diritto per tutte e tutti. E la Costituzione non parla di “cittadini”, ma di “individui”, di persone – spiega Beretta – garantire l’accesso alla pratica sportiva a tutti e tutte, questo è il dovere delle istituzioni, e a maggior ragione alle ragazze e ai ragazzi con genitori nati fuori dai nostri confini».
«Oggi i figli di cittadini nati fuori dall’Italia sono coloro che per ragioni economiche fanno più fatica ad accedere allo sport e per ragioni burocratiche vengono costantemente ostacolati nella loro carriera sportiva – continua – e allora con l’aria che tira trovo assurdo che qualcuno pensi di limitare quei pochi spazi che ci sono, detto che per come la vedo io qualsiasi bambino che nasca in qualsiasi paese dovrebbe avere automaticamente la cittadinanza del paese in cui nasce. Per me il minimo sarebbe che tutti i minori residenti in Italia da almeno dieci anni possano essere tesserati dalle federazioni sportive italiane come se fossero cittadini italiani. Lo sport, oggi più che mai, può essere un veicolo di uguaglianza capace di rimettere al centro le capacità e il talento dei singoli al di là degli schieramenti ideologici».
Desalu insegna
Indicativa è la vicenda di Fausto Desalu, campione olimpico della staffetta 4×100 metri alle Olimpiadi di Tokyo. Desalu, di origine nigeriana ma nato e cresciuto in Italia, ha avuto un’infanzia non semplicissima: sua madre, infatti, abbandonata dal marito dopo due anni dall’arrivo nel nostro Paese, si è subito rimboccata le maniche, andando a lavorare «nei mattatoi», raccogliendo pomodori e facendo la badante. Peccato che viva in un Paese, l’Italia, che gli ha concesso la cittadinanza italiana solo a 18 anni: prima non poteva concorrere nemmeno ai campionati, non poteva indossare la maglia azzurra. A 17 anni fa segnare un record italiano, non omologato perché appunto lui non era ancora italiano. Oggi è una promessa per le prossime Olimpiadi. Quanti come lui in attesa di un diritto naturale?
