«Non servono nuove carceri, ma carceri nuove»: intervista a Luigi Pagano

Set 26, 2025 | Cooperazione

Luigi Pagano ha diretto la Casa circondariale di San Vittore (nella foto), a Milano, dal 1989 al 2004

L’ex storico direttore di San Vittore, già responsabile del DAP, è il nuovo Garante dei Detenuti del Comune di Milano. Abbiamo parlato con lui di sovraffollamento, minori, CPR e di alcuni temi sui quali lavoriamo come cooperativa sociale, la genitorialità in carcere e le misure alternative alla detenzione

di Daniele De Luca

Da poche settimane Luigi Pagano è il nuovo Garante dei Detenuti e delle persone private di libertà del Comune di Milano.Un ruolo che chiude il cerchio di una lunga carriera dedicata al mondo del carcere. Direttore in diversi Istituti, per anni a San Vittore, e poi responsabile del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) a Roma. Ma anche dopo 40 anni di lavoro c’è sempre qualcosa da scoprire e da imparare. È proprio dalle novità di questo importante incarico che abbiamo voluto cominciare.

Luigi Pagano, ora dovrà occuparsi anche dei minori.

«Sì, sto affrontando questo tema direttamente per la prima volta. Uno dei miei primi accessi sarà proprio al Beccaria, che, come si sa, non è mai stato così affollato come oggi. Certamente, come accade per le carceri, anche negli istituti per minori c’è un aumento degli ingressi a causa dell’ultimo decreto sicurezza. Si pensa di risolvere i problemi di ordine pubblico mettendo le persone dietro le sbarre».

«La Costituzione prevede anche l’amnistia. Siamo in una condizione tale per cui si dovrebbe pensare a un provvedimento, pensare a chi ha quasi finito di scontare la pena e potrebbe uscire con un nuovo patto sociale. È qui ad esempio che le cooperative sociali come la vostra potrebbero essere decisive»

Il carcere quindi, più di ieri, è un luogo abitato da poveri ed emarginati?

«Diciamo che è sempre stato un po così, ma oggi è molto più così. Abbiamo circa 100mila persone In Italia che usufruiscono di pene alternative e altre 190mila persone condannate che attendono in libertà, agli arresti domiciliari o quant’altro, in attesa di sapere se avranno la possibilità di poter ottenere misure alternative. E ci sono 15mila persone in carcere con condanne intorno ai 3 anni. Tra questi ultimi a più della metà manca solo un anno. Inserire anche loro a pene alternative permetterebbe di svuotare non poco le carceri, che vivono una condizione di sovraffollamento ormai insopportabile».

C’è un tema su cui la nostra cooperativa lavora da tempo, quella sulla genitorialità in carcere. Che ne pensa?

«Per come sono strutturate e costruite le nostre carceri è un grosso problema. Abbiamo anche delle ottime norme nel regolamento carcerario, ma molto spesso restano sulla carta perché non possono venire applicate. Gli spazi nella gran parte delle carceri sono pochi, inadatti, vecchi. Aggiungiamo il sovraffollamento, la mancanza di personale. Mancano luoghi adatti per i colloqui e certamente non ci sono spazi che permettano la giusta intimità tra padre e figlio, tra madre e figlio. Anche perché una certa redenzione, un ripensamento rispetto al reato commesso, può avvenire anche grazie a una riflessione sull’essere genitori. Non in tutti i casi, certamente, ma è una strada che ogni individuo può perseguire. Il paradosso del carcere è anche questo, preparare le persone a tornare nella società civile tenendole lontane dalla società civile stessa».

Che cosa pensa dei CPR, i centri di permanenza per i rimpatri?

«La libertà personale è sacra. Solo in casi eccezionali una persona può essere privata della propria libertà. Ci deve essere un reato, un processo, una condanna. Il fatto che nei CPR ci siano persone cui si priva la libertà senza che abbiano commesso un reato è assolutamente anticostituzionale. Oltretutto nei CPR non ci sono nemmeno le garanzie che si danno ai detenuti. Con quale motivazione si nega di poter comunicare all’esterno con un telefono? Con quale motivazione si nega la possibilità di ricevere visite? C’è un livello di restrizione ancora più penalizzante rispetto a un carcere. E parliamo di persone che spesso non hanno nemmeno commesso reati».

Per risolvere il sovraffollamento sembra che l’unica ricetta proposta dal governo sia di costruire nuove carceri…

«Non servono nuove carceri, ma carceri nuove. Servono le pene alternative. Serve una legislazione che punti al reinserimento nella società, non all’allontanamento. Oltretutto per fare un nuovo carcere ci voglio grandi spazi, ci vogliono anni di lavori, minimo sei o sette. E nel frattempo? La Costituzione prevede anche l’amnistia. Siamo in una condizione tale per cui si dovrebbe pensare a un provvedimento, pensare a chi ha quasi finito di scontare la pena e potrebbe uscire con un nuovo patto sociale. È qui ad esempio che le cooperative sociali come la vostra potrebbero essere decisive».

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