Gemellaggi, la diplomazia dal basso che supera i confini

Ott 17, 2025 | Opinioni

Missanello è uno dei pochi Comuni italiani gemellato con una città Palestinese, Bait Jala

La vicenda di Milano, con la proposta di cancellare l’accordo con Tel Aviv e l’idea di “abbracciare” Gaza City, ha riacceso i riflettori su uno strumento nato nel dopoguerra per costruire ponti tra le città scavalcando anche le scelte politiche nazionali e i conflitti tra le stati, favorendo lo scambio e la cooperazione tra i popoli

di Daniele De Luca

Il primo sembrano essere stati quelli tra Ferrara e Le Mans e Firenze e Reims, nel 1954. Uno degli ultimi tra Monselice (Padova) e Antônio Prado, città brasiliana, per celebrare nel maggio 2025 il 150° anniversario dell’arrivo dei primi immigrati italiani in Brasile. Ma che cos’è un gemellaggio tra città? La questione è tornata prepotentemente alle cronache dopo la bocciatura della mozione che chiedeva la cancellazione dell’accordo tra Milano e Tel Aviv.

Nati nel dopoguerra, i gemellaggi mirano a favorire la comprensione reciproca tra i popoli, la pace e la cooperazione internazionale. Sono anche occasioni d’affari, di interscambi culturali, di cooperazione in vari ambiti: culturale, educativo, economico, ambientale, sportivo. Ci sono gemellaggi che prevedono scambi tra scuole, festival musicali, fiere, rassegne cinematografiche. 

Insomma, in un gemellaggio ci puoi mettere di tutto.

Ma quello che sopra ogni cosa distingue questa forma di ponte tra culture è il fatto che le città possono, di fatto scavalcare i governi, annullare le distanze, abbattere dei muri. In teoria, s’intende. Ma certamente non devono rispettare la politica ufficiale, nazionale, di uno Stato nei confronti di un altro Stato. E se ci pensiamo bene questa è un’arma formidabile tra i popoli per i popoli

Nel caso specifico della vicenda Milano-Tel Aviv due sono state le tesi contrapposte: da una parte dare un segnale chiaro di distanza dal genocidio palestinese impegnando la città di Milano a tagliare i ponti con Tel Aviv, un gesto simbolico forte. Dall’altra la considerazione che non si può identificare Tel Aviv con lo Stato di Israele e che invece mantenere aperto un ponte può essere utile proprio per ricostruire un dialogo di pace e costruttivo.

Si può essere più o meno d’accordo con una o l’altra tesi, specialmente in questo momento storico, ma resta appunto un elemento fondamentale: il fatto che le città possano scavalcare gli Stati-Nazione

E infatti contestualmente a Tel Aviv è balzata alle cronache anche la proposta di un gemellaggio con Gaza City, una città, cioè, che non ha nemmeno uno Stato. Varrebbe la pena chiedersi il perché lo stesso ragionamento non sia stato fatto, restando a Milano, quando è stato revocato il gemellaggio con San Pietroburgo. Non è accaduto dopo l’invasione dell’Ucraina ma molto prima, nel 2012, per protestare contro le violazioni dei diritti umani in quel paese.

Ma non sarebbe il caso forse, proprio oggi, un gemellaggio con una città russa? Oppure pensiamo che tutti i russi, tutte le città, tutti i sindaci siano pro-Putin? Ecco, la grande occasione che viene data alle città del mondo è proprio di sentirsi parte del mondo e non parte di schieramenti costituiti. Io non ho nulla contro un cittadino di Tel Aviv o di Mosca.

I gemellaggi possono portare un contributo importante nella riconoscenza reciproca, nell’abbattere barriere, nel far conoscere nuove culture. In teoria, ogni città del mondo dovrebbe essere gemellata con tutte le altre, a ben pensarci

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