Dai fatti del Corvetto al decreto “Salva Milano”: chiacchierata con il giornalista del quotidiano LaNotizia.it Andrea Sparaciari
Andrea Sparaciari è milanese, è giornalista, è un osservatore attento delle vicende cittadine. Caporeddatore del quotidiano La Notizia, Lavora sulla città da anni ed è noto anche per un lavoro importante sulle Ferrovie Nord dove ha svelato sprechi e dissesti, nel 2023 ha vinto il Premio Giornalistico Vergani con un articolo sulla morte di un lavoratore irregolare di cui non si conosceva l’identità perché quella che aveva era un alias “comprato” sul mercato nero dei caporali per poter lavorare.
Che cosa ne pensi dei fatti del Corvetto, molti parlano di “banlieu milanese”.
«Certo il Corvetto non può essere definita una banlieu e certo non si deve generalizzare, pensiamo solo al fatto che l’anno scorso c’era stata una rivolta simile al quartiere San Siro. C’è una sofferenza, una marginalità crescente tra i giovani di seconda e terza generazione che si sentono ai margini di una società che propone miti irraggiungibili e false promesse. Ci sono fasce di popolazione che sono state del tutto trascurate dove il disagio è pronto a esplodere. Sono giovani che hanno visto i loro genitori venire in Italia, accettare spesso i lavori più degradanti e peggio pagati e dover anche sopportare una retorica che ha dipinto gli immigrati come il problema del Paese salvo poi sfruttarli alla prima occasione. Sono ragazzi cresciuti in case popolari fatiscenti, in quartieri sempre più svuotati da attività sociali e culturali e imbruttiti. Loro hanno visto i loro genitori costruirsi una vita e migliorare le proprie condizioni, ma chi nasce qui oggi fatica a vedere un futuro che possa essere meglio del loro presente. La scuola non aiuta, o almeno fa quel che può, sempre più taglieggiata come è dai bilanci statali e nel frattempo molti di loro devono anche aspettare 18 o 20 anni per avere la cittadinanza e quindi fanno anche fatica a sentirsi pienamente italiani, per quanto lo siano a tutti gli effetti».
Insomma, ci sono almeno due Milano diverse che viaggiano a diverse velocità?
«Sì. Milano sembra vittima di sé stessa. Chi di questi ragazzi potrà mai comprarsi, per come è oggi il lavoro in Italia e a Milano, una casa da 8/9mila euro al metro quadro così come si sta costruendo a Milano? A fianco delle case popolari vedono crescere palazzi di lusso, inarrivabili, e persone altrettanto inarrivabili. Un giro di soldi e di privilegi che il decreto “Salva Milano” ha di fatto salvato e reso intoccabili, inavvicinabili, indiscutibili nel vero senso primario del termine. Davanti a tutto questo credo che molti poi si rassegnino a vivere “al massimo” ogni singolo momento, è il “qui e ora” che conta, il futuro non ha una forma. Se poi ti va male al massimo ti fai un periodo al Beccaria, poi torni fuori. Sono personalmente convinto del contrario e che in realtà ci siano ancora per queste generazioni tante possibilità di crescita, ma parlo di come loro vedono le cose: basti pensare ai rapper e ai trapper delle periferie, ai testi delle loro canzoni, ai miti di oggi. Il problema è che da questo punto di vista la politica, soprattutto quella abitativa, a Milano ha fallito nell’inclusione di tutte le fasce di popolazione e questo tema non è più rimandabile. L’orizzonte è sempre più il ‘qui e adesso’, il consumo immediato di se stessi e se questo accade la responsabilità e di tutta la collettività, politica in testa. Soldi, donne, macchina, droga, consumo. Del resto, vediamo come alcuni rapper famosi siano poi molto vicini a certi ambienti della periferia violenta, un humus culturale mischiato di false promesse e falsa celebrità».
È un po’ come l’albero che cresce che non fa notizia mentre quello che cade fa rumore…
«Ma infatti è un problema che coinvolge anche il mondo dei mass media e della comunicazione. Ci sono tante associazioni che operano in quartieri difficili e fanno del bene, non le vediamo restano invisibili perché è più facile raccontare il mondo per massimi sistemi, semplificare, generalizzare e puntare sempre sulle paure, soprattutto sulla paura degli altri. I lettori dei giornali e dei social che sembrano più interessati a vedere confermate le proprie opinioni piuttosto che essere informati per poi farsi un’opinione. Oggi invece si compra un’opinione che aderisce il più possibile alla nostra, non si cerca l’informazione. E noi per primi invece, con i nostri giornali, dovremmo dare elementi di informazione, di racconto della realtà. E spesso non riusciamo a farlo. Dunque, penso che tutti noi si debba cambiare il modo in cui ci approcciamo alla realtà e metterci tutti i giorni in discussione. Non è facile ma dobbiamo farlo».