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Mohid, il progetto SAI e l’integrazione: “La lingua è stata la chiave per abbattere le barriere”

Dic 13, 2024 | Migranti, Progetti

Tra studio, oratorio e progetti futuri, la “normalità” di un 18enne arrivato in Italia nel 2020 durante la pandemia e uscito dal sistema di accoglienza gestito a Carpiano da Il Melograno. “Imparare l’italiano è stato fondamentale – racconta – ora mi preparo per l’università e aspetto la cittadinanza italiana”

Mohid ha compiuto da poco 18 anni. Studia al quarto anno dell’istituto tecnico commerciale, si prepara all’esame per la patente e si divide tra scuola, amici, sport e oratorio dove lui – musulmano – dà una mano al “don” come animatore occupandosi dei più piccoli. Un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle come si dice. Già proiettato al futuro, con le idee chiare. «Studierò Economia all’università perché voglio fare il commercialista», spiega con uno spiccato accento lombardo. Un percorso lineare, per così dire. Se non fosse che la strada per lui non è stata priva di curve.

Nato a Karachi, in Pakistan, è arrivato in Italia nel 2020 con la mamma e la sorella per ricongiungersi con il padre, rifugiato nel nostro Paese. Da Trieste, dove si trovava inizialmente con la famiglia, si è poi spostato a Cesano Maderno e infine a Carpiano, piccolo Comune della bassa milanese. Ed è qui che è entrato in contatto con noi nel 2022, all’interno del progetto SAI di ASSEMI di cui Il Melograno è ente attuatore.

Nato in Pakistan, Mohid è arrivato in Italia nel 2020

«Carpiano? Mi piace, è un posto tranquillo», sorride mentre ci accoglie nella piazza principale del paese immerso nel Parco Agricolo Sud Milano. Oggi, a distanza di due anni e con l’uscita dal sistema di accoglienza, Mohid e la sua famiglia hanno scelto di restare sul territorio e sono ormai parte della comunità locale, integrati tra scuola e lavoro in una quotidianità che lui definisce “normale”, anche se non è sempre stato così semplice.

«Per l’integrazione ci vuole tempo, come in tutte le cose – riflette Mohid – a me non è mai capitato di subire episodi gravi di razzismo, appena iniziata la scuola mi sentivo un po’ escluso ma capivo il comportamento dei miei compagni. Appena ho iniziato a parlare italiano ho cominciato ad andare d’accordo con tutti». La lingua – che Mohid padroneggia come se fosse il suo idioma d’origine insieme a urdu e inglese, lingue nazionali in Pakistan – è stata per lui l’elemento di svolta. «A me piace molto conoscere persone, fare amicizia, era un desiderio fortissimo che avevo ma mi sono scontrato con la barriera linguistica e quindi nel primo periodo in Italia stavo sempre a casa, non uscivo», racconta. Una strada tortuosa, dicevamo, resa più impervia dal fatto che Mohid sia arrivato in Italia a pochi mesi dallo scoppio dalla pandemia Covid. «Il primo anno facevano lezione in DaD, per me che non parlavo ancora una sola parola di italiano è stata davvero dura – continua – mi sono impegnato a fondo nello studio e anche grazie all’aiuto di Ornella (l’insegnante di italiano della nostra cooperativa) in poco tempo ho recuperato terreno: ho perso un anno perché sono stato iscritto alla prima superiore invece che alla seconda proprio per darmi la possibilità di ingranare con l’italiano”.

Mohid con don Antonio Loi, parroco di Carpiano

Superato l’ostacolo nonostante restrizioni e didattica a distanza, Mohid ha agganciato i suoi “vicini di casa” di Carpiano con l’oratorio. «Sì, me l’ha consigliato Antonio, l’educatore del progetto SAI – dice – mi ha anche spinto a iscrivermi nella squadra di calcio locale, la Carpianese, una bella esperienza anche se ora preferisco la palestra». In oratorio, Mohid ha trovato non solo un luogo di socializzazione, ma anche una responsabilità. Il parroco don Antonio Loi, sardo d’origine ma da quindici anni sul territorio tra Carpiano e San Giuliano e per altrettanti cappellano in carcere, racconta: «Quando ho rilanciato la pastorale giovanile ho chiesto ai ragazzi del paese di darmi una mano. Mohid si è subito reso disponibile: affabile e aperto, è diventato presto un punto di riferimento per i più piccoli. La sua famiglia è straordinaria, in particolare la madre, una donna di grande forza e educazione». Il contributo di Mohid come animatore ha arricchito l’oratorio, dimostrando che differenze culturali e religiose non sono un ostacolo, ma una risorsa. «Ci sono altri ragazzi musulmani che lo frequentano, e non è mai stato un problema, anzi. Questa diversità è una ricchezza», sottolinea don Antonio.

Con lo sguardo rivolto avanti, Mohid è già proiettato verso l’università e il mondo del lavoro. «Ho fatto l’alternanza scuola-lavoro in un’azienda locale e ho già chiesto di poter tornare la prossima estate per dare una mano”, dice con entusiasmo. E sul tema della cittadinanza, che resta un nodo politico delicato in Italia, commenta con pragmatismo: «Mi piacerebbe diventare cittadino italiano, se potessi lo farei domani. Ma devo aspettare ancora qualche anno». Don Antonio aggiunge: «Se riuscissimo a sganciare il dibattito sulla cittadinanza dall’ideologia politica, potremmo affrontarlo con maggiore serenità».

La storia di Mohid è un esempio di integrazione riuscita, resa possibile dalla sua tenacia, dal supporto familiare e della comunità oltre che dal lavoro del progetto SAI, che ha contribuito a creare le condizioni ideali per far emergere il suo potenziale. Una rete di collaborazioni tra famiglia, servizi e comunità locale che dimostra come l’accoglienza possa generare risultati positivi e duraturi.

In bocca al lupo, Mohid, per tutto quello che il futuro ha in serbo per te!

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