Fondazione ISMU ha presentato il suo 30° Rapporto sulle Migrazioni. Al solito, la realtà è lontanissima dalla propaganda
La Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) ha presentato il suo 30° Rapporto sulle Migrazioni 2024. Una importante cartina di tornasole della presenza e inclusione dei cittadini di origine straniera in Italia, che affronta tutti i capitoli più importanti, dai crudi numeri sulle presenze al mondo del lavoro a quello della scuola.

Nel suo rapporto annuale, Fondazione ISMU stima che al 1° gennaio 2024 gli stranieri presenti in Italia siano 5 milioni 755mila, in leggero calo (20mila in meno, -0,3%) rispetto alla stessa data del 2023. Crescono i residenti: 5 milioni e 254mila rispetto ai 5 milioni 141mila del 2022, il 70% dei quali cittadini non comunitari, mentre continua il calo degli irregolari registrato dal 2019: ISMU stima che si attestino sulle 321mila unità, il 5,6% del totale, cioè -137mila rispetto ai 458mila dell’anno precedente. Stazionari i regolari non residenti, passati da 176mila a 180mila unità (+4mila) nel 2023. L’anno precedente il loro numero era sceso in maniera consistente, da 293mila a 176mila (-117mila).
Per quanto riguarda gli ingressi in Italia, nel 2023 si è registrata una importante riduzione dei permessi di soggiorno per lavoro (-42,2% rispetto al 2022). Crescono, invece, quelli per motivi di famiglia, di asilo e richiesta di protezione internazionale e per motivi di studio. I cittadini non comunitari con un permesso di soggiorno di lungo periodo sono 2 milioni e 139mila.
Lavoro e scuola
Nel 2023 gli occupati stranieri di età tra i 15 e i 64 anni sono 2 milioni e 317mila. Tra il 2005 e il 2023 il tasso di attività degli italiani è cresciuto dal 61,9% al 66,4%, mentre la componente straniera è passata dal 73,4% al 69,6%. Il tasso di occupazione per gli italiani è cresciuto dal 57,2% al 61,2%, mentre per gli stranieri è diminuito dal 65,8% al 61,6%. L’incidenza degli stranieri sul totale dei disoccupati è pari al 15,5%.
Per quanto riguarda la scuola, nell’anno scolastico 2022/23 il numero degli alunni con CNI (cittadinanza non italiana), nati all’estero e nati in Italia, si attesta a 914.860 presenze, corrispondenti all’11,2% sul totale degli iscritti (8.158.138) dalle scuole dell’infanzia alle secondarie di secondo grado.
Il consistente e continuo aumento della popolazione straniera residente in Italia non è dovuto solo alle immigrazioni, ma anche alle nascite. Queste ultime, dopo il record storico di circa 80mila nati nel 2012, sono diminuite progressivamente sino a scendere ai 50mila nati del 2023.
214mila nuovi cittadini italiani
In aumento le acquisizioni di cittadinanza. Per quanto riguarda le nuove cittadinanze, nell’intervallo 2011-2023 sono state complessivamente circa un milione e 700mila. Nel 2023 i nuovi cittadini italiani sono stati 214mila, la quasi totalità (92%) erano non comunitari. Un quarto delle acquisizioni di cittadinanza è stato concesso in Lombardia (25,1%) e poco più di una su dieci in Emilia-Romagna (12,6%) e Veneto (11,6%). I principali Paesi da cui provengono i nuovi cittadini sono Albania e Marocco, rispettivamente con un’incidenza di 74 e 61 nuovi cittadini italiani ogni 100 stranieri (tuttora) della stessa origine.
In calo i permessi di soggiorno per lavoro. Per quanto riguarda gli ingressi in Italia, Fondazione ISMU ETS evidenzia come, in generale, negli ultimi anni il nostro Paese sia stato poco attrattivo rispetto alle nuove migrazioni per lavoro e per motivi di studio, mentre ha dimostrato una maggiore capacità di richiamo sia sul fronte dei ricongiungimenti familiari, per effetto di processi di stabilizzazione di migrazioni pregresse, sia su quello della ricerca di protezione. Infatti, riguardo ai permessi di soggiorno, nel 2023 si è registrata una importante riduzione di quelli per lavoro (-42,2% rispetto al 2022), probabilmente per l’esaurimento degli effetti precedentemente prodotti dai permessi per emersione, una componente che nel 2022 copriva il 72,6% dei permessi per lavoro.
A partire dal 2011, gli ingressi regolari di cittadini non comunitari in Italia sono avvenuti prevalentemente per ricongiungimento familiare (nel quadriennio 2018-2021 sono stati oltre la metà dei nuovi flussi). Inoltre, sono cresciuti quelli per motivi di asilo e richiesta di protezione internazionale, che dal 2015 al 2020 hanno costituito la seconda motivazione di ingresso (con una incidenza sul totale dei permessi che ha raggiunto punte superiori al 34%). A tale proposito, nel 2022 la guerra in Ucraina ha portato la protezione internazionale a diventare la prima motivazione di ingresso in Italia, con oltre il 45% dei permessi.
Il caso dei permessi per motivi di studio. Per quanto riguarda i permessi per motivi di studio, nel corso del 2023 sono aumentati (+9,4% rispetto al 2022) e hanno superato quota 27mila (l’8,3% del totale). Tuttavia, al primo posto ci sono quelli concessi a iraniani (4.209 permessi per motivi di studio), seguiti da cinesi (3.779), turchi (2.074), indiani (1.785), russi (1.241) e statunitensi (1.091). Si tratta di Paesi che, esclusa la Cina, non sono tra i più interessati dall’immigrazione verso l’Italia.
Gli sbarchi
Sbarchi e ingressi via terra. Dopo che, nel 2023, gli ingressi non autorizzati alle frontiere marittime avevano raggiunto una dimensione pari a oltre 13 volte quelli osservati nel 2019, il 2024 si è chiuso con poco più di 66mila sbarchi (-57,9% rispetto al 2023). In particolare, al 15 novembre 2024 la riduzione degli sbarchi era del 60% rispetto allo stesso periodo del 2023, sia per gli arrivi dalla Tunisia (-80,3%), sia per quelli dalla Libia (-20,2%) e dalla Turchia (-51,1%).
A fronte di un numero di sbarchi inferiore, il rapporto tra deceduti e persone approdate in Italia nel 2024 è pari a 25,5, in crescita rispetto al 2023 (16,0%). Nel 2024 nel Mediterraneo hanno perso la vita almeno 1.692 persone, di cui 79 bambini (nel 2023 erano stati 2.526, di cui 91 bambini). Quanto ai paesi d’origine, dai dati IOM-UNHCR risulta che ad arrivare lungo la rotta tunisina sono state prevalentemente persone originarie dell’Africa Sub-Sahariana, come Guinea (18,4%), Costa d’Avorio (16,0%), Burkina Faso (8,5%) e Mali (5,8%), oltre che dalla Tunisia stessa (17,9%). Dalla Libia, invece, si sono imbarcate prevalentemente persone provenienti dall’Asia e dal Medio Oriente, in particolare Bangladesh (23,7%), Pakistan (14,5%) e Siria (17,4%) in testa, e dall’Egitto (21,3%).
In flessione anche gli arrivi via terra: secondo le stime dell’UNHCR nei primi 6 mesi del 2024 sono stati 3.400, contro i 5.600 del 2023. A entrare dalla frontiera con la Slovenia sono prevalentemente cittadini originari da Bangladesh, Siria, Turchia, Marocco e Afghanistan.
Richieste di asilo. Se nel 2023 le domande d’asilo presentate in Italia erano state circa 130mila (di cui l’84% da parte di uomini), nei primi nove mesi del 2024 sono state 116mila, con una crescita del 27,1%. Va precisato che solo una parte delle persone entrate irregolarmente in Italia fa domanda. Tra i richiedenti asilo, crescono le richieste dei cittadini del Bangladesh (+59% rispetto al 2023). Nei primi 9 mesi del 2024 sono aumentate anche le domande da Cina (+882%), Sri Lanka (+335%), Marocco (+115%), India (+137%) e Perù (+119%).
Il sistema scolastico
La ricostruzione fatta da Fondazione ISMU ETS del trend di alunni CNI (con cittadinanza non italiana) negli ultimi trent’anni ricostruisce quattro fasi. La prima, di avvio, iniziata con poco più di 31mila presenze nell’anno scolastico 1992/93, ne raggiunge 70mila nel 1997/98. Segue, fino al 2012/13, una accelerazione esponenziale, dove il totale di iscritti con background migratorio si decuplica in circa 15 anni e supera le 700mila unità. Negli anni successivi, fino al 2019/20, i ritmi di crescita rallentano e si attestano in media sui +12mila all’anno, nonostante la “crescita zero” del 2015/16 (+641), una percentuale media oscillante tra i 9 e 10 studenti di origine immigrata ogni 100 durante tutto il periodo. Infine, l’attuale fase oscillante (2020/21-2022/23), in cui si registra il primo anno scolastico segnato dal “segno meno”, con la perdita di oltre 11mila alunni di origine immigrata (2020/21) nella fase pandemica, così come la grande crescita del 2022/23 (+42.500 presenze), con l’inserimento scolastico dei profughi ucraini e il superamento della soglia del 10%.
Dopo la crescita rallentata degli ultimi anni, nell’anno scolastico 2022/23 il numero degli alunni con CNI, nati all’estero e nati in Italia, si attesta a 914.860 presenze, corrispondenti all’11,2% sul totale degli iscritti nelle scuole italiane (8.158.138) dalle scuole dell’infanzia alle secondarie di secondo grado. Per quanto riguarda la provenienza, gli studenti sono originari di circa 200 Paesi diversi. In particolare, il 44% del totale è di origine europea; più del 25% è di origine africana; attorno al 20% asiatica e quasi l’8% dell’America latina. La cittadinanza più numerosa è rappresentata dalla Romania, con quasi 149mila studenti. Seguono: Albania (118mila presenze) e Marocco (114mila).
In 15 anni triplicati gli alunni con CNI nati in Italia. I nati in Italia figli di immigrati sono passati da 588.986 del 2020/21 a 598.745 nel 2022/23, quasi 10mila unità in più. Dalla prima rilevazione dell’a.s. 2007/08 ad oggi, il gruppo è passato da circa 200mila a quasi 600mila e rappresenta il 65,4% degli alunni con CNI. Più dei due terzi degli alunni censiti come non italiani sono costituiti dalle cosiddette seconde generazioni. L’incidenza percentuale di questo gruppo sul totale degli alunni con CNI cresce in tutti i livelli scolastici e ne costituisce attualmente la maggioranza: nelle scuole dell’infanzia, i nati in Italia ogni 100 alunni con background migratorio sono 81; 69 alla primaria, 63 alle secondarie di primo grado e 50 in quelle di secondo grado.
Il 26,1% degli alunni con CNI è in ritardo. Permane il problema del ritardo scolastico. Dai primi dati del 2005/06 si è ridotto progressivamente, ma nel complesso rimane ancora elevato, soprattutto nelle secondarie di secondo grado, dove quasi la metà degli studenti di origine immigrata è in ritardo di uno o più anni (48,0%). Preoccupano anche la lontananza dal sistema di istruzione/formazione/lavoro e l’abbandono scolastico precoce. Nel 2022 gli ELET nati all’estero, cioè i giovani che si sono fermati alla scuola secondaria di primo grado, sono ancora il 28,7% dei 18-24enni stranieri, cioè il triplo degli autoctoni, che scendono al 9,7%. I giovani in condizione di NEET (Not in Education, Employment or Training, cioè che non studiano né lavorano) tra i 15 e i 29 anni sono il 29% del totale, circa il doppio degli italiani (17,9%).
Minori stranieri non accompagnati: solo uno su 5 va a scuola. Le disparità nei tassi di scolarizzazione di stranieri e italiani sono particolarmente evidenti tra i minori stranieri non accompagnati (MSNA). Gli studi di Fondazione ISMU ETS (per un approfondimento si veda “Minori stranieri non accompagnati a scuola. Se l’improbabile diventa possibile“) mostrano come, all’interno di un campione di circa 3.400 MSNA censiti sul territorio italiano tra il 2020 e il 2022, solo un minore su cinque ha avuto accesso al sistema scolastico italiano (21%) e solo il 18% risulta inserito nei corsi di primo livello (corrispondenti alla secondaria di primo grado) e secondo livello (secondaria di secondo grado) presso i CPIA. La maggioranza (55%) frequenta un corso di alfabetizzazione in lingua italiana presso il centro di accoglienza in cui vive o in un CPIA e il 6% è fuori da qualsiasi tipo di programma di apprendimento.
Cresce la presenza nei licei. Negli ultimi vent’anni gli studenti di origine immigrata sono rimasti una componente stabile degli istituti tecnici (+4,4% dal 2002/03 al 2022/23), mentre si è ridotta la quota negli istituti professionali (-15,9%) ed è cresciuta la presenza nei licei (+11,5%). Nell’a.s. 2022/23, il 33,4% degli iscritti non italiani nel secondo ciclo di istruzione frequenta il liceo, gli istituti tecnici (39,9%) e quelli professionali (26,7%).
Rapporto INVALSI 2024. Gli allievi stranieri di prima generazione, nella classe V secondaria di secondo grado, in Italiano conseguono in media un esito significativamente più basso di uno studente-tipo di 9,3 punti. Tra gli studenti di seconda generazione e gli italiani la distanza si attesta a -7,6 nel 2024, anche se permane una situazione di svantaggio linguistico. In Matematica, le prime generazioni conseguono mediamente un esito più basso dello studente tipo di meno 2 punti, mentre le seconde generazioni hanno un esito più basso di 3 punti (il dato è costante negli ultimi due anni). In Inglese, nel 2024, gli allievi di prima generazione conseguono un esito più elevato dello studente tipo, nella lettura (circa +8,2 punti) e molto di più nell’ascolto (+13,2 punti). Anche i risultati delle seconde generazioni sono migliori di quelli dello studente tipo, con 5,5 punti in più nella prova di reading e 9,8 in quella di listening.
Il mondo del lavoro
Negli ultimi trent’anni la società e il mercato del lavoro italiani hanno conosciuto una trasformazione straordinaria e irreversibile: da presenza invisibile e silenziosa, la popolazione con background migratorio è diventata una componente strutturale del mercato del lavoro e del sistema produttivo. Un fenomeno che in tutti questi anni ha rivelato gli elementi di criticità dell’economia e della società italiana.
Quanti sono i lavoratori con background migratorio. All’inizio degli anni Novanta, Fondazione ISMU ETS stimava, sulla base dei versamenti Inps, che gli occupati stranieri di età compresa tra i 15 e i 64 anni fossero circa 160mila. Nel 2023 sono 2 milioni e 317mila (dati Eurostat), esito di una crescita che ha raggiunto l’apice negli anni pre-pandemia, in particolare nel 2017 (2.387mila), per poi calare nel 2020. Superata l’emergenza sanitaria, il volume dell’occupazione straniera ha ripreso a crescere, raggiungendo poco più del 10% dell’occupazione complessiva (ma il peso effettivo degli occupati con background migratorio è sottostimato a causa del numero di residenti stranieri che ogni anno acquistano la cittadinanza italiana “scomparendo” dalle statistiche sull’occupazione).
Tassi di attività, occupazione e disoccupazione. Tra il 2005 e il 2023 il tasso di attività degli italiani è cresciuto costantemente (dal 61,9% al 66,4%), mentre la componente straniera è passata dal 73,4% al 69,6%. Analogo il trend del tasso di occupazione, che per gli italiani è cresciuto dal 57,2% al 61,2%, mentre per gli stranieri è diminuito di 4,2 punti percentuali (dal 65,8% al 61,6%), con un crollo di 6,4 punti per gli uomini e 4,3 per le donne. L’incidenza degli stranieri sul totale dei disoccupati è pari al 15,5%, quasi 6 punti percentuali in più rispetto al loro peso sulle forze lavoro, nonostante il numero di disoccupati stranieri sia significativamente più basso rispetto ad alcuni anni fa, quando arrivò a sfiorare il mezzo milione. Particolarmente critica la situazione delle donne straniere: la riduzione di un solo punto tra il 2005 e il 2023 si è accompagnata a un ampliamento del divario con le italiane, passato da 5,5 punti percentuali a 5,9.
Prevale il “lavoro povero”. Se si escludono i cambiamenti dovuti all’ingresso nel mondo del lavoro delle seconde generazioni, capaci di penetrare in segmenti e profili occupazionali poco accessibili ai loro genitori, i processi di inclusione occupazionali sono quasi immutati. Come trent’anni fa, le famiglie rappresentano il principale datore di lavoro degli stranieri/e, che a loro volta costituiscono la quota maggioritaria (69,5%) dei poco meno di 900mila addetti regolarmente assunti.
È straniero il 30,4% degli occupati nei servizi personali e collettivi e il 18% degli occupati in agricoltura; il 17,4% nel comparto ristorazione e turismo e il 16,4% nelle costruzioni. Inoltre, quasi 9 lavoratori stranieri su 10 (86,7%) sono occupati come dipendenti, rispetto al 77,7% degli italiani. Le imprese gestite da stranieri sono 392.489, pari al 13% del totale, ma nel 75% circa dei casi si tratta di ditte individuali.
I “bassi” profili professionali. Quanto ai livelli di inquadramento, pur in presenza di qualche segnale di upgrading, i nati all’estero restano concentrati nei livelli più bassi della gerarchia professionale, costituiti dalle professioni non qualificate (24,1%), addetti alle vendite e servizi commerciali (23,7%) e, per quanto riguarda gli uomini, profili operai e artigianali. Pesano i livelli di istruzione: nel 2023, solo il 53,3% degli stranieri tra 25 e 64 anni ha un titolo secondario superiore (rispetto al 66,9% degli italiani) e i laureati sono il 12,4%, contro il 22,7% degli italiani (Istat). Ma pesa anche la domanda, che continua a dimostrarsi interessata a reclutare soprattutto profili di tipo manuale a nulla, bassa o al più media qualificazione.