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Dalle montagne dello zafferano alle cascine del Parco Sud Milano

Feb 27, 2025 | Migranti, Progetti

La storia della famiglia Raufi, rifugiati afghani accolti dal nostro progetto SAI a Carpiano. Che ora hanno trovato una casa

Cinquemila chilometri, fatti in gran parte a piedi. È quanto dista la città di Herat in Afghanistan da Carpiano, Comune dell’area metropolitana milanese che sorge nel cuore del Parco Agricolo Sud. Dalle montagne che producono una qualità di zafferano tra le più ricercate (e rinomate) al mondo ai campi delle marcite, alla Bassa padana. È la storia di una famiglia che ce l’ha fatta. La racconta il nostro Mohammad Karimi, mediatore culturale. E così ci racconta l’incontro con loro. 

«Mi trovo qui a Carpiano insieme alla mia collega Samira – scrive Karimi – per trovare la famiglia Raufi. Erano ospiti nel nostro progetto SAI, la signora Homira ci accoglie nella sua casa in cui appena si sono trasferiti dopo l’uscita del sistema di accoglienza, ed è una emozione forte di trovarli finalmente in una casa tutta loro, piena di intimità e di calore umano, addobbata con decorazioni miste tra cultura italiana e afghana. Rivedo i tappeti, il profumo del nostro tè allo zafferano che avvolge la casa. Riassaporo la tipica accogliente ospitalità afghana mentre il bambino, nato in Italia, gioca con un’altra nostra ex beneficiaria. La donna ci accompagna a farci vedere orgogliosamente la sua casa, poterci vivere dopo aver abbandonato la loro in Afghanistan è una grande emozione. Per la sua cultura accoglierci significa anche cucinare per noi. Appassionatamente racconta dei piatti che prepara con i suoi bambini e ci dice che ora il suo sogno sarebbe quello di aprire un ristorante, cucinare le piace tanto.

Una rete territoriale che funziona

Quello che capiamo subito è che oltre ai loro sforzi, alla fatica che hanno fatto, è stato decisivo l’impegno e la collaborazione tra ente gestore, la Cooperativa Il Melograno, e il territorio. L’equipe multidisciplinare, grazie al lavoro di costruzione di reti territoriali già sviluppate da tempo, ha accelerato il processo di integrazione del nucleo familiare. Infatti, per la realizzazione positiva del progetto SAI, sono stati fondamentali i rapporti con i soggetti sociali del territorio: la parrocchia e il parroco don Antonio, con i quali abbiamo potuto sviluppare l’integrazione dei bambini attraverso la frequenza dei centri estivi. I Servizi sociali comunali che hanno mostrato una grande disponibilità nell’aiutare la famiglia e gli operatori per le necessità burocratiche e educative emerse e con i quali la collaborazione è stata ottima. Un grande ringraziamento va anche alla scuola di Carpiano che – in particolare attraverso le maestre – ha collaborato con chiarezza e buona volontà al lavoro della nostra equipe. 

La fuga da Herat nell’agosto 2021

Mentre aspettiamo suo marito, Homira ci racconta del loro viaggio, di cosa significava vivere in Afghanistan. Non poteva uscire di casa da sola, non poteva lavorare, ha vissuto sulla sua pelle il dramma del dominio talebano che nel corso degli anni ha provocato un lento ma deciso deterioramento nel quadro dei diritti personali e civili. Sono arrivati in Italia come tanti, dopo un viaggio lunghissimo e massacrante, pericoloso, costoso. Poi sono arrivati in Italia. E infine sono stati accolti nel progetto SAI gestito dal Melograno a Carpiano. Ci sediamo a tavola e iniziamo a dialogare.

Come vi trovate a Carpiano?

«Mi piace questa città perché è una città molto serena con le persone molto cordiali e accoglienti, in cui mi sento parte di questa città dove ho molte amiche che spesso ci invitano agli eventi, compleanni, non pensavo che dopo l’abbandono della mia amata patria e città, senza sapere dove saremmo andati, in quale paese o città, avrei trovato un posto simile per molti aspetti a quello che ho lasciato. Quando nell’agosto 2021 ho dovuto abbandonare il mio lavoro come insegnante insieme a mio marito non sapevamo dove saremo andati, sapevamo solo che dovevamo raggiungere l’aeroporto di Kabul di nascosto prima che i talebani ci scoprissero. All’aeroporto abbiamo visto molte persone disperate, scene terribili».

Avevate paura? 

«Non eravamo solo noi due, insieme a noi ci erano anche i nostri bambini piccoli che piangevano, abbiamo avuto molto paura di perdere i nostri bambini tra la folla, di non riuscire a prendere il volo e rimanere in Afghanistan costretti e condannati a vivere sotto il dominio dei talebani. Ugualmente non è stato facile abbandonare le nostre famiglie e il mio paese».

Come è stato l’impatto con l’Italia e l’Europa? 

«Prima di venire qui, non sapevamo molto dell’Italia e non eravamo pronti perché non si trattava di un viaggio programmato, ma abbiamo avuto la sensazione di essere in un paese sicuro, libero, dove i miei bambini possono andare scuola. Allo stesso tempo proviamo una immensa tristezza per coloro che sono rimasti in Afghanistan». 

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