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Affido e adozione: come funzionano e quali sono le differenze

Apr 8, 2025 | Famiglia, Minori

Quando si parla di accoglienza dei minori le parole “affido” e “adozione” vengono spesso usate come se fossero sinonimi. Ma chi ha vissuto anche solo da vicino queste esperienze sa bene che tra le due c’è un abisso: nella durata, nel significato, nell’impatto emotivo.

In questo articolo facciamo chiarezza, rispondendo alle domande più frequenti: come funziona l’affido in Italia? In cosa si differenzia dall’adozione? Quando può trasformarsi? E qual è il ruolo dei servizi sociali in tutto questo?

Affido familiare: cos’è davvero (e cosa non è)

L’affido familiare è una misura temporanea pensata per offrire stabilità e affetto a un minore, nel momento in cui la sua famiglia d’origine non è in grado di occuparsene.

In teoria, dovrebbe essere un ponte: un percorso breve, definito, che accompagna il minore da una situazione di difficoltà verso una nuova stabilità — che sia il rientro nella famiglia d’origine o, in rari casi, l’ingresso in una nuova famiglia adottiva. È proprio il termine “affido ponte” a dirci che questo intervento è pensato per avere un termine, non per durare all’infinito.

Eppure, nella realtà, molti affidi si allungano ben oltre i due anni previsti dalla legge. In alcuni casi arrivano a durare quattro o più anni, snaturando completamente la loro funzione. Il problema non è solo temporale, ma relazionale: più il legame tra minore e affidatari cresce, più la chiusura — se non adeguatamente accompagnata — diventa uno strappo doloroso, vissuto come una perdita.

Come funzionano gli affidi in Italia

In Italia, l’affido familiare è regolato dalla Legge 184/1983 (e aggiornato da successive normative) che definisce i criteri, le tipologie e gli obiettivi di questo strumento di tutela per i minori. Il principio di base è semplice: offrire a bambini e ragazzi un ambiente sicuro e affettuoso quando la famiglia d’origine, per vari motivi, non è in grado di occuparsene.

Esistono diverse forme di affido:

  • intrafamiliare, se il minore viene accolto da parenti entro il quarto grado;
  • eterofamiliare, se viene affidato a persone esterne alla famiglia d’origine (singoli o coppie, con o senza figli);
  • residenziale, se l’accoglienza avviene in una comunità o struttura autorizzata.

La durata è generalmente di due anni, con possibilità di proroga in base alle esigenze del minore. Durante questo periodo, i genitori biologici mantengono la responsabilità genitoriale, mentre i servizi sociali seguono da vicino l’evoluzione del caso, monitorando sia il benessere del bambino che la situazione della famiglia d’origine.

L’obiettivo, quando possibile, è il rientro del minore nella sua famiglia, ma può anche evolversi — in casi specifici — verso un’adozione, se il legame affettivo si consolida e il bambino viene dichiarato adottabile.

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Che differenza c’è tra affido e adozione?

Spesso si tende a confondere affido e adozione, ma sono due realtà molto diverse.

  • L’adozione è definitiva: recide i legami giuridici con la famiglia d’origine e inserisce il minore in una nuova famiglia con pieni diritti e doveri, come se fosse figlio biologico. La legge impone anche criteri rigidi, come la differenza d’età tra adottanti e adottando, che deve essere tra i 18 e i 45 anni, calcolata rispetto al coniuge più giovane (art. 6, L. 184/83).
  • L’affido è temporaneo: non cambia lo stato giuridico del minore e mantiene attivi i legami con la famiglia d’origine. È un ponte, non un punto di arrivo. Tuttavia, quando dura troppo (oltre i due anni previsti), rischia di creare legami profondi che rendono la separazione molto dolorosa.

Quando e come si può trasformare un affido in adozione?

Può succedere, in alcuni casi, che un affido evolva in adozione. Ma è importante chiarirlo subito: non è un passaggio automatico, né una naturale conseguenza dell’accoglienza.

A prevedere questa possibilità è la Legge 173/2015, che introduce il principio della continuità affettiva. Cosa significa? Se durante l’affido si instaura un legame profondo e stabile tra il minore e la famiglia affidataria, e se il minore viene dichiarato adottabile, gli affidatari hanno il diritto di chiedere l’adozione.

A quel punto spetta al Tribunale per i minorenni valutare il caso: lo fa con attenzione, considerando l’interesse superiore del bambino e la qualità del legame affettivo instaurato. Ogni decisione è individuale e non scontata.

È bene ricordarlo: non tutti gli affidi sono destinati a diventare adozioni. Quando un affido si prolunga nel tempo senza una chiara direzione, e senza un accompagnamento adeguato da parte dei servizi sociali, la chiusura può trasformarsi in un vero e proprio trauma — per il minore, ma anche per chi lo ha cresciuto con amore come un figlio.

Il ruolo dei servizi sociali: fondamentale (ma spesso invisibile)

I servizi sociali dovrebbero essere la regia discreta ma costante di ogni percorso di affido o adozione. Quando funzionano bene la loro presenza è quasi invisibile — perché tutto scorre. Ma quando mancano o intervengono in modo frammentario e tardivo, le fragilità si amplificano e le conseguenze possono essere molto pesanti per tutti.

Nel concreto, il loro compito è tutt’altro che secondario:

  • selezionare e formare le famiglie affidatarie e adottive;
  • monitorare il benessere del minore e delle famiglie coinvolte;
  • supportare la famiglia d’origine nel suo percorso di recupero;
  • accompagnare con cura ogni transizione, sia verso il rientro in famiglia che verso l’adozione, quando possibile e auspicabile.

Eppure, troppo spesso, questo supporto è assente o insufficiente. Così, un progetto che nasce come temporaneo, come ponte verso un futuro migliore, può trasformarsi in una frattura dolorosa, lasciando dietro di sé ferite emotive difficili da rimarginare.

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