Oltre al ritardo, la beffa (fiscale). Annunciato a partire dal 1 gennaio 2024, il cosiddetto Bonus mamme (lavoratrici con almeno due figli) è partito con la busta paga del mese di febbraio, causa tardiva pubblicazione, da parte di INPS, della necessaria circolare operativa.
Che cos’è il bonus mamme
Il dispositivo prevede, come ormai risaputo (si vedano in proposito i contributi di Andrea Marini del Sole e il redazionale di Vita), un esonero dal pagamento dei contributi pensionistici per alcune tipologie di lavoratrici che abbiano almeno due figli, con aumento di pochi euro nella busta paga mensile. Il bonus varia in base al reddito IRPEF e sarà automaticamente applicato dal datore di lavoro per il periodo da gennaio 2024 a dicembre 2026, salvo i casi per i quali, nel periodo indicato, dovessero cessare i requisiti necessari per ottenerlo.
Unica formalità richiesta alle lavoratrici è presentare una dichiarazione scritta all’azienda di cui sono dipendenti al fine di confermare l’esistenza dei requisiti richiesti. A seguire sarà predisposta una piattaforma dedicata sul sito dell’INPS, in cui sarà autonomamente possibile inserire i codici fiscali dei figli al fine del riconoscimento del bonus.
Come si diceva, il Bonus mamme spetta alle donne lavoratrici con due o più figli a carico, titolari di contratto di lavoro a tempo indeterminato, o di contratti di somministrazione a tempo indeterminato o di apprendistato. Le donne con due figli avranno diritto al bonus solo per l’anno 2024 o sino al mese di compimento dei 10 anni del figlio più piccolo. Le donne lavoratrici con tre o più figli a carico riceveranno il bonus da gennaio 2024 al 31 dicembre 2026, o sino al mese di compimento dei 18 anni del più piccolo.
In sintesi, un bonus per al massimo 11 mesi per chi ha due figli, al massimo per tre anni per chi di figli ne ha almeno tre (circa il 10% delle famiglie con figli).
Dalla lettura della norma e dai calcoli effettuati in base alla predetta circolare INPS, il bonus mamme sembra con chiarezza avvantaggiare le lavoratrici con redditi più alti e tutelati da contratti di lavoro. Per molte famiglie, infatti, il problema è decidere di fare un primo figlio e di valutare bene se sceglierne di fare un secondo; l’opzione terzo è spesso remota, non considerata. Di più: sono le persone con contratti precari, e dunque non assunte a tempo indeterminato (o con contratti libero professionali), quelle a fare più fatica. Bene, per loro, nulla, non fanno semplicemente parte della platea delle lavoratrici coinvolte nel provvedimento, e lo stesso vale per le madri con un solo figlio, anche se disabili o in condizione di svantaggio. Una misura che appare avere tutti i contorni del provvedimento ideologico, una “bandiera” da sventolare senza tuttavia incidere davvero sulla vita delle persone, se non appunto – e qui si potrebbe pensare all’elettorato storico di riferimento dei governi conservatori – le mamme meno povere, o comunque non in situazioni critiche: dai 21euro/mese delle lavoratrici con una RAL sino a 10.000 euro, il bonus mamme sale progressivamente a 73euro/mese per chi ha una RAL sino a 35.000 euro, per poi attestarsi definitivamente a 32euro/mese. Poche decine di euro, con l’ulteriore aggravante che questo importo concorre all’aumento dell’ISEE; un aumento nella busta paga 2024 che può andare poi a far pagare più tasse a fine anno. Un gioco delle tre carte, insomma, non certo un bel vedere.