Ci sono tante storie che hanno incrociato la Resistenza e il calcio. Tra le più note, quelle di Bruno Neri, il calciatore che si rifiutò di fare il saluto romano, e di Rino Dalla Negra
È il 1931 quando a Firenze viene inaugurato il nuovo stadio, intitolato al gerarca fascista Giovanni Berta, ucciso dieci anni prima. L’evento viene festeggiato con un’amichevole tra la Fiorentina, la squadra dove Neri milita tra il 1929 e il 1936, e l’Admiral Vienna. Prima del fischio d’inizio, come avviene in occasione di ogni partita, i giocatori salutano i gerarchi seduti in tribuna con il braccio teso: il ribelle che si rifiuta è proprio Bruno Neri.
In quegli anni non sarà l’unico a mostrare platealmente la sua disapprovazione verso il regime. Aldo Olivieri, il portiere della Nazionale campione del mondo nel 1938 ed estremo difensore del Verona, del Torino e della Lucchese, quando poteva, faceva altrettanto.
Se Olivieri ed altri giocatori praticavano la resistenza in campo, Bruno Neri decise di schierarsi anche fuori dal rettangolo di gioco. Il calciatore faentino aveva talento, contribuì a fare la fortuna della squadra della sua città nella serie cadetta e, a 19 anni, fu acquistato dalla Fiorentina del patron marchese Ridolfi, fascista della prima ora. Anche a Firenze Neri disputa degli ottimi campionati che gli valgono prima la convocazione in Nazionale B e poi nell’Italia maggiore. I giudizi de “La Gazzetta dello Sport” sul calciatore viola sono entusiasti: in azzurro gioca insieme a campioni del calibro di Piola e Meazza, fino a quando non arriva l’interesse del Torino dell’allenatore ungherese Ernest Erbstein, ebreo costretto a lasciare l’Italia a seguito delle leggi razziali emanate nel 1938 dal regime fascista, che lo obbliga anche a mutare il suo cognome nell’italiano Egri.
Caduto il regime, nel dopoguerra Erbstein guiderà prima la Lucchese dalle serie minori al massimo campionato nella stagione 1936-1937, e poi il Torino alla conquista di cinque scudetti consecutivi, fin quando non morirà nel tragico incidente aereo di Superga il 4 maggio 1949.
A Firenze, così come a Torino, Neri non si era limitato ad interpretare il ruolo di calciatore. Nel capoluogo toscano il mediano frequenta lo storico Caffè delle Giubbe Rosse, ritrovo di intellettuali e antifascisti, mentre a Torino partecipa con interesse alla vita civile cittadina. Proprio in maglia granata, nel 1940, Neri giocherà la sua ultima partita di alto livello, prima di ritirarsi, per una serie di problemi fisici, a soli 30 anni.
Il partigiano Berni
Dopo l’8 settembre 1943 il calciatore, su autorizzazione del CLN, entra nell’Organizzazione resistenza italiana (Ori), vicina al Partito d’Azione, e diviene vicecomandante del battaglione Ravenna: il suo nome di battaglia è Berni. La passione per il calcio del partigiano Berni è più forte di qualsiasi altra cosa e così Bruno Neri parteciperà al campionato Alta Italia con la maglia del Faenza fino al 7 maggio 1944, in occasione del derby contro il Bologna. Neri si dedica al recupero di armi e al trasporto di radio utili per i gruppi partigiani della sua zona, impegnati ad impedire i rastrellamenti dei repubblichini sull’Appennino tosco-romagnolo.
È in una di queste operazioni, nei pressi dell’eremo di Gamogna, poco sopra Marradi, che il 10 luglio 1944 il partigiano Berni cade insieme al suo compagno Vittorio Bellenghi, cestista faentino. I due si imbattono in un gruppo di militari tedeschi: “Gli ultimi colpi di sten il partigiano Berni li regala al nulla, come il triplice fischio di un arbitro. Su di loro si avventano i tedeschi che li finiscono con la baionetta. Muore così il mediano che giocava sempre per i compagni”.
Rino Della Negra: calciatore, operaio e partigiano
Un’altra storia che merita di essere raccontata è quella di Rino Della Negra, calciatore dilettante nato in Francia nel 1923 da genitori italiani. Rino, di professione operaio, milita nella Red Star Olympique, formazione della banlieu parigina di origine proletaria fondata nel 1897 da Jules Rimet, il padre della Coppa del mondo. I Della Negra trovarono rifugio in Francia, ad Argenteuil, poco lontano da Parigi, in fuga dal fascismo. Rino lavora alla fabbrica delle officine Chausson, ma soprattutto si dimostra un ottimo calciatore, tanto che corre i 100 metri in 11 secondi e ha un ottimo possesso di palla, e passa dalla Jeunesse Sportiva Argenteuillase alla Red Star, squadra che nel 1934 e nel 1939 si era laureata campione della 2ª Divisione e che poteva vantare tra i suoi calciatori più famosi Helenio Herrera e l’argentino Guillermo Stabile.

Durante l’occupazione tedesca della Francia, Della Negra giocò anche alcune partite contro i soldati tedeschi: ci scherzava su dicendo che il calcio era un modo per tenere a distanza un nemico che lo perseguitava dall’infanzia e aveva costretto la sua famiglia a emigrare, riferendosi al nazifascismo. Dal 1942 il giovane calciatore entra in clandestinità e fa il suo ingresso nel III distaccamento italiano dell’Ftp-Moi (Francs-tireurs et partisans – main-d’œuvre immigrée), i franco-tiratori partigiani – movimento operaio di immigrati agli ordini del comandante armeno Missak Manouchian. Il gruppo, composto da comunisti spagnoli, italiani, francesi, rumeni, ungheresi, polacchi e armeni, si rende protagonista di una serie di azioni eclatanti, tra cui l’esecuzione del generale Von Apt, il 7 giugno 1943, ma soprattutto l’attacco alla sede parigina del Partito fascista italiano il 10 giugno 1943. In poco tempo, le strade di Parigi furono coperte di manifesti della Gestapo che cercavano il cosiddetto “Cartello Rosso”, quello dell’Ftp-Moi. Il 12 novembre 1943 Rino Della Negra viene arrestato durante un’imboscata contro un portavalori del Reich. L’attacco dei partigiani fallì, buona parte dei membri dell’Ftp-Moi furono arrestati e il 21 febbraio 1944 vennero giustiziati dai nazisti: tra loro c’era anche Rino Della Negra, il calciatore che aveva trascinato la Red Star.
Attualmente la Red Star Olympique, pur dibattendosi nelle serie minori, è un club che si identifica con i valori dell’antifascismo, ragion per cui è possibile dire che c’è un calcio capace ancora oggi di riconoscersi nei valori della libertà e della Resistenza, come dimostrano le molteplici esperienze, nel nostro paese e altrove, di squadre costituite da migranti richiedenti asilo, rifugiati, centri sociali e da una miriade di società e polisportive dilettantistiche unite dagli ideali dell’uguaglianza e dell’antirazzismo.