di Paola Barachetti | Sociologa, psicologa, formatrice, cultrice della materia per l’insegnamento di elementi di psicologia interculturale
“In un mondo che non invitava davvero alla rettitudine, Delia gli era sembrata un faro, un gigante. Gli piacevano le ragazze con gonne sgualcite, scarpe da ginnastica e strani cappelli, di quelle sempre con un libro sotto il braccio. Delia era esattamente così. Una creatura all’avanguardia, intrisa di dolori contemporanei, ma con un cuore calmo da qualche parte sotto i suoi pullover larghi. Un cuore remoto, fermo eppure sempre scosso dai movimenti del mare, come un’ancora”.
Margaret Mazzantini, Nessuno si salva da solo
Così scrive Margaret Mazzantini nel 2011 in un libro breve e fulminante, una rivelazione che ci mostra come, in ogni relazione, si possa trovare da un lato il riflesso di noi stessi, dall’altro un’opportunità di crescita e, a volte, una sfida. Sono due adulti Delia e Gaetano, una coppia separata che “deve imparare ad esserlo […] cresciuti in un’epoca in cui tutto sembra già essere stato detto, in cui si scambiano parole che non riescono a dare voce alle loro solitudini, alle loro urgenze, perché nate nelle acque confuse di un analfabetismo affettivo”.
In principio fu il legame di attaccamento
Siamo una specie in costante evoluzione, estremamente dipendenti e vulnerabili alla nascita e per lungo tempo, plasmati dalle interazioni con gli altri e dalle esperienze che attraversiamo, a partire da quel “legame di attaccamento”1 che incide sulla capacità di costruire relazioni stabili e soddisfacenti, di mantenere un livello di autostima e un senso di sicurezza, di gestire le emozioni e di essere resilienti, nonché capaci di reagire alle avversità della vita. In sintesi: dalle nostre prime esperienze di vita – da come gli adulti si prendono cura di noi – costruiamo le basi più o meno solide per il nostro futuro, per le relazioni che sceglieremo, per la fiducia che avremo negli altri.
Violenza e incredulità: le piazze di Firenze e Pisa
I recenti episodi di violenza sui ragazzi e le ragazze che manifestavano nelle piazze di Firenze e Pisa hanno mosso sentimenti di incredulità, rabbia, paura e profonda preoccupazione e su queste emozioni molti autorevoli personalità, tra le quali in primis, il Presidente della Repubblica, si sono espressi, condannando esplicitamente i metodi violenti e repressivi impiegati dalle Forze dell’Ordine per soffocare la protesta di adolescenti e giovani armati solo di opinioni e della convinzione di poter portare quelle stesse opinioni in piazza. Quella stessa piazza che la mia generazione – dei cinquantenni di oggi – avrebbe definito un luogo fisico, simbolico e metaforico di vita collettiva; l’arena della pratica politica, dell’occupazione dello spazio pubblico, con un movimento spontaneo simile a quello che nel ’68 si nutrì della stessa energia, fantasia, impegno di tanti studenti e giovani che lottando per i diritti degli “altri da loro”, pensarono di poter cambiare il mondo.
Giovani e adulti, ovvero dell’incomunicabilità
Di adolescenti e giovani nel nostro Paese si parla davvero poco e, per una sorta di impulso a guardare nel fondo di uno scarto generazionale, mi sembra che i fatti di Firenze e di Pisa abbiano portato alla luce, con una brutalità e in un contesto diverso, le contraddizioni che abitano oggi più che mai gli spazi di interconnessione tra la generazione degli adulti e quella degli adolescenti e dei giovani. Le stesse contraddizioni che occupano sempre più spesso le relazioni genitori-figli, giovani-adulti, mediate dai nuovi strumenti tecnologici.
La tecnologia e la dimensione virtuale
Riguardo all’adolescenza, uno degli ambiti in cui si dibatte, dai testi specialistici ai media, è relativo alle tecnologie, alle dipendenze dai dispositivi digitali. Anche in questo caso, come nella pratica democratica della piazza e della civile espressione di un pensiero critico, emerge una dicotomia tra le richieste che avanziamo come adulti nei confronti degli adolescenti e i nostri stessi comportamenti, la nostra consapevolezza e la nostra coerenza.
Così, mentre esortiamo i ragazzi a staccarsi dai loro smartphone, ad esplorare il mondo reale e a sviluppare un pensiero critico, non ci rendiamo conto – o forse non vogliamo renderci conto – della nostra possessività, della difficoltà di accettare un modo differente dal nostro di vedere il mondo; non ci accorgiamo di essere noi per primi dipendenti, quando non addirittura schiavi, di quegli stessi dispositivi tecnologici, con i quali usciamo al mattino e varchiamo la soglia di casa la sera, sempre attivi, accesi pure di notte, costantemente presenti nella nostra vita tra social e chat.
I compiti educativi degli adulti
Una nutrita letteratura nel corso dei decenni si è dedicata ai compiti educativi degli adulti, spiegando la necessità di dare risposte alle richieste implicite ed esplicite che l’adolescenza porta con sé, all’interno di quelli che Havighurst2 definisce “compiti di sviluppo”. Obiettivi importanti come la formazione dell’identità e l’autonomia dalla famiglia, sfide evolutive fondamentali che si giocano all’interno del contesto sociale e culturale in cui gli adolescenti vivono. In molti – pedagogisti, psicologi, pediatri – hanno invitato a riflettere sugli elementi che dovrebbero definire questa sfida dell’educare, dell’accompagnare bambini, preadolescenti, adolescenti e giovani a diventare adulti: certamente la presenza fisica ed emotiva, la funzione genitoriale vista come una “base sicura”, un “porto di attracco”, una relazione che possa fornire la sicurezza e la fiducia necessarie ad esplorare l’ambiente circostante, certi di poter tornare e ritrovare accoglienza e amore, in caso di bisogno. Ma anche la coerenza, essere un punto di riferimento attento, protettivo, rassicurante. Essere adulti – e ancora di più esserlo in una democrazia – significa allora educare a scegliere, a sentire nel profondo del proprio Sé l’altro, i suoi diritti anche quando non sono quelli che conosciamo, a noi prossimi, a valorizzare ciò che è diverso, non comune, non risolvibile con un matematico concetto di “moda”, a riconoscere i propri pregiudizi, a trovare spazio per sé nel rispetto dello spazio per l’altro.
I nativi digitali e il percorso a ostacoli verso l’età adulta
La generazione degli adolescenti di oggi si trova, credo come mai prima, a navigare in un tratto di mare burrascoso, in cui aspettative e pressioni degli adulti si fondono con un contesto socio-economico che ha progressivamente compresso la dimensione sociale, promuovendo l’individualismo a metro di misura di tutti i passaggi che segnano il difficile tratto dall’adolescenza all’età adulta: un metro competitivo, prestazionale, omologato, da realizzare preferibilmente in solitudine.
In questo contesto già tanto complesso, i cosiddetti “nativi digitali” si trovano a dover affrontare una sfida nella sfida, perché la rivoluzione tecnologica, che ha letteralmente investito la nostra società come un fenomeno sociale senza precedenti, ha generato impatti di gran lunga superiori a quelli delle precedenti rivoluzioni basate sulla trasformazione dei materiali e dell’energia.
La rivoluzione digitale e il cambiamento della dimensione sociale
Come confermano gli studi di molti autori, la rivoluzione digitale è la prima a modificare in modo globale e irreversibile le comunicazioni, i legami, entrando nella sfera intima della persona e delle sue relazioni significative. Alcuni dati possono aiutarci a comprendere come l’avvento di Internet e dei social media abbiano di fatto trasformato il nostro modo di relazionarci, di vivere, di essere: We are social nel 2023 svela che su una popolazione mondiale di 8 miliardi di persone 5,44 miliardi utilizza telefoni cellulari, il 68%, circa 2 persone su 3, con un aumento di 168 milioni di nuovi utenti negli ultimi 12 mesi. Connessi alla rete passiamo 6 ore e 37 minuti al giorno, delle quali almeno 5 al telefono; 20 minuti in meno rispetto al 2022, ma pur sempre un dato impressionante. Chi passa più tempo online sono le giovani donne dai 16 ai 24 anni (7,32 ore al giorno), seguite dai maschi 25-34enni (7,13 ore al giorno), ma le classi di età più mature non sono da meno, trascorrendo dai 5,14 alle 6.05 ore al giorno davanti ai dispositivi tecnologici.
In Italia l’andamento è del tutto simile: nel 2023 diminuisce lievemente il tempo online rispetto ai 12 mesi precedenti (-15 minuti), ma aumenta il tempo sui social (+ 1 minuto), con 44 milioni di persone attive e con una penetrazione che si avvicina al 75% (nel 2022 era più bassa di 3 punti).
E ancora, Save The Children informa che in Italia è sempre più precoce l’accesso ad Internet: il 78,3% di pre-adolescenti tra 11 e 13 anni è online ogni giorno; i bambini tra i 6 e i 10 anni che utilizzano il cellulare quotidianamente sono, dato del 2022, il 30,2% (18,4% nel 2018); gli adolescenti trascorrono sempre più tempo connessi (oltre 5 ore al giorno per quasi la metà tra loro).
Ma non basta: nonostante la legge consenta ai quattordicenni di accedere ai social fornendo il consenso in autonomia, mentre per i minori di questa età è richiesto il consenso dei genitori per il trattamento dei dati, molti ragazzi ne fanno uso comunque, spesso indicando un’età maggiore o utilizzando i profili di adulti ed esponendosi così a numerosi rischi come, ad esempio il cyberbullismo e la pedofilia online.
Infine, un recente studio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità rivela che in Italia, nonostante le raccomandazioni dell’OMS e della Società italiana di pediatria, il 22, 1% dei bambini tra i 2 e i 5 anni trascorre del tempo davanti agli schermi e questa percentuale aumenta significativamente con l’età, raggiungendo il 58,1% tra gli 11 e i 15 mesi, con oltre un bambino su sei esposto agli schermi per almeno un’ora al giorno.
La dipendenza da dispositivi digitali
Dell’impatto di una dimensione virtuale così pervasiva possiamo dunque parlare sia in chiave positiva, non negando l’utilità e i vantaggi che ha portato lo sviluppo tecnologico nella nostra vita e in quella dei giovani, sia, d’altro canto, in termini di danni prodotti da una esposizione precoce a diversi dispositivi digitali, in grado di interferire con lo sviluppo psicologico e relazionale, cognitivo ed emotivo dei bambini e degli adolescenti.
Le ricerche neuro-scientifiche hanno ormai dimostrato che le basi neurobiologiche della dipendenza da smartphone risiedono nella modulazione del sistema di ricompensa cerebrale: l’uso dello smartphone, specialmente nelle interazioni con applicazioni, giochi e social media, libera dopamina, il neurotrasmettitore legato alla sensazione di piacere e al consolidamento delle abitudini. Si crea, di fatto, una sensazione di gratificazione istantanea e un circolo di ricompensa, che rinforza il comportamento dipendente, influenzando l’identità, l’autostima, la socializzazione e l’apprendimento3.
Un utilizzo eccessivo dello smartphone risulta anche correlato ad un aumento dell’ansia e dello stress e la costante esposizione alle notifiche attiva l’amigdala, che gioca un ruolo chiave nella formazione e nella memorizzazione di ricordi legati ad eventi emotivi, generando stati di ansia cronica, paura di perdere eventi sociali e consolidando il legame tra utilizzo compulsivo e stress4. Le conseguenze si ampliano poi alla depressione, al ritiro sociale e all’isolamento depressivo, con compromissione delle competenze sociali, alla percezione distorta del proprio valore con diminuzione dell’autostima, delle funzioni attentive e di concentrazione.
Digitale e adolescenza, alla ricerca di identità in un palcoscenico virtuale
È evidente quindi come l’era digitale abbia introdotto nuove complessità nel processo di sviluppo adolescenziale: Internet e i social media hanno avuto e hanno un impatto significativo sulla costruzione dell’identità degli adolescenti, con le interazioni virtuali che svolgono un ruolo sempre più rilevante5.
Questo scenario richiede un nuovo approccio educativo e nuovi strumenti che possano aiutare adolescenti e giovani a muoversi in un mondo di aspettative di perfezione e di successo, che rende difficile condividere esperienze negative che vengono spesso censurate: i difetti di autostima, il senso di vergogna, il bisogno di mostrarsi all’altezza di aspettative ideali legate ad una genitorialità figlia di una società narcisistica, oggi si associano alle tensioni che smartphone e social portano con sé, edificando palcoscenici virtuali sui quali gli adolescenti si presentano con un’identità immateriale, la web identity, in un processo intricato tra espressione di sé e riconoscimento degli altri, che passa attraverso restituzioni virtuali spesso più importanti di quelle reali.
Repressione, iper-controllo e negazione: il paradigma educativo di adulti fragili
Nel dibattito scientifico degli ultimi anni mi è sembrata particolarmente interessante l’ipotesi avanzata da Matteo Lancini nel libro “Sii te stesso a modo mio”. L’autore propone di guardare ai molti ostacoli educativi e alle problematiche adolescenziali come il risultato della tendenza degli adulti a proiettare i propri modelli ideali e le proprie paure sui giovani, anziché ascoltarli realmente per comprenderli, in una dimensione culturale che tende alla repressione e all’iper-controllo: immaginare di gestire il rapporto degli adolescenti con i loro smartphone con modalità che ne vietano l’utilizzo, senza prima essere intervenuti come adulti sul nostro rapporto con la tecnologia, va in questa direzione ed è ciò che il ministro Valditara ha anticipato delle linee guida nei giorni scorsi.
Di nuovo, pretendiamo che i ragazzi e le ragazze lascino fuori dalle aule i loro telefonini, mentre i genitori si accaniscono sulle chat e i professori telefonano; di nuovo, la risposta alle sfide educative in una realtà che si trasforma con una velocità mai vista in precedenza è la negazione, l’esercizio di forza e di potere di un mondo adulto incapace di coerenza, di ascolto e di accoglienza.
Visione olistica e superamento di approcci settoriali: la prospettiva di intervento della Cooperativa Il Melograno
Credo che presidiare oggi la transizione all’età adulta, quella delicata fase dell’adolescenza così complessa e al contempo fondamentale per costruire i cittadini e le cittadine del futuro, significhi prima di tutto occuparsi della fragilità adulta, della difficoltà ad accettare quei movimenti verso l’autonomia che passano spesso dalla provocazione, dal conflitto, da quella che per Freud fu la rappresentazione simbolica dell’uccisione del padre. Significa portare l’attenzione sulle politiche a supporto dell’adolescenza e dei giovani, avere un approccio olistico che vada oltre gli interventi settoriali per promuovere il benessere degli adolescenti e dei giovani, ascoltandone le esigenze, le opinioni, coinvolgendoli attivamente nei processi decisionali per garantire la piena attuazione dei loro diritti e la possibilità di diventare cittadini attivi.
La Cooperativa Il Melograno da anni è impegnata nel sostenere i genitori, gli adulti, tramite percorsi di supporto, nelle diverse fasi del ciclo di vita e nelle situazioni più o meno critiche attraversate, tramite servizi di consulenza, coaching, formazione e sensibilizzazione di genitori, adulti, educatori e operatori, comunità e collettivi.
Parallelamente, servizi di promozione del protagonismo giovanile (i centri di aggregazione giovanile; gli interventi di educativa comunitaria, di strada e territoriale; i percorsi di accompagnamento alla vita adulta per i ragazzi e le ragazze con carriere scolastiche problematiche) consentono agli adolescenti e ai giovani di sperimentarsi in relazioni reali, nella presenza dei corpi, nella gestione delle contraddizioni che le relazioni e gli spazi collettivi portano con sé. Esperienze che accompagnano ragazzi e ragazze nella traiettoria verso l’adultità e la cittadinanza attiva, che rispondono alla necessità di affrontare bisogni contemporanei, luoghi di incontro per costruire nuovi legami e promuovere il protagonismo giovanile, favorendo una dimensione di pensiero critico e un’esperienza aggregativa, sociale, politica.
Perché nessuno – appunto – si salva da solo e non sono certo i manganelli, come ha ricordato il Presidente della Repubblica, la via migliore per accompagnare i percorsi di crescita.
1Bowlby, J. (1982).Attachment and loss.Vol. 1:Attachment (2nded.).NewYork:BasicBooks (Originalwork published1969).
2Havighurst, R. I. (1972). Developmental tasks and education 3d ed. New York McKay
3Montag et al., 2015; Montag & Walla, 2016; Chassiakos & Stager, 2020
4Etkin et al., 2004; Sherman et al., 2016
5Weber & Mithchell, 2008; Holmes et al., 2016