Falcone: una lezione che continua a parlare

Mag 23, 2025 | Attualità

Nella foto, il murale raffigurante i magistrati Giovanni Flacone e Paolo Borsellino a Settimo Milanese, nell’hinterland di Milano

A 33 anni dalla strage di Capaci, il 23 maggio torna a interrogare il presente. La memoria non deve ridursi a celebrazione, ma diventare pratica quotidiana di responsabilità pubblica

Il 23 maggio è primavera inoltrata: tempo di fiori, di sole, di brezza leggera. Nel 1992 quel tempo si spezzò all’improvviso. Una voragine sull’autostrada, una voragine nella fiducia pubblica, un’apertura violenta dentro la storia repubblicana.

Da allora, il 23 maggio torna ogni anno come una ferita nel calendario civile. Le celebrazioni si succedono, le parole si moltiplicano, le immagini attraversano giornali, aule scolastiche, discorsi istituzionali. Ma non tutte le parole generano pensiero. Alcune allontanano, altre addormentano. Ogni ricorrenza esige uno sguardo vigile: la memoria non è un tributo, è una pratica.

Trentatré anni dopo Capaci, la domanda resta aperta. A quali condizioni l’eredità di Giovanni Falcone si traduce in un impegno attuale, quotidiano, concreto? Quali trasformazioni ha attraversato l’idea stessa di giustizia? Quali spazi ha occupato oggi il potere criminale? Una memoria viva non ripete: rilancia, scava, espone.

Criminalità organizzata in Lombardia: un sistema integrato

Interrogare la memoria significa guardare il presente. Per questo, oggi, parliamo della Lombardia. Non perché qui si celebri una ricorrenza, ma perché qui, ogni giorno, si misura la capacità dello Stato di difendere la legalità. La criminalità organizzata agisce, si struttura, si trasforma. E lo fa in un contesto che offre potenzialità economiche, reti logistiche, visibilità ridotta. Milano e il suo hinterland non sono più territori di passaggio: sono centro operativo.

L’operazione Hydra, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, documenta un’alleanza operativa tra le tre principali organizzazioni criminali italiane: ’Ndrangheta, Camorra, Cosa Nostra. Il Tribunale del Riesame definisce questo patto un “sistema mafioso lombardo”, con regole condivise, spartizioni territoriali, logiche comuni. I clan non si contendono il potere: lo gestiscono insieme. Coordinano il traffico di stupefacenti, controllano parcheggi e mercati, intervengono nei cantieri attraverso imprese fittizie, manovrano risorse pubbliche come gli incentivi edilizi.

Non si tratta di infiltrazioni episodiche, ma di un radicamento. La criminalità organizzata in Lombardia non agisce ai margini. Assume i tratti dell’imprenditoria, sfrutta le zone grigie dell’amministrazione, si avvale di professionisti compiacenti. Gli spazi dove l’illegalità diventa sistema non sono le periferie, ma gli snodi della logistica, le interfacce del commercio, gli appalti pubblici.

Questa convergenza tra potere economico e criminalità organizzata richiede un impianto istituzionale capace di leggere i fenomeni, di intervenire con coerenza, di agire sul lungo periodo. Servono magistrati preparati, forze dell’ordine attrezzate, amministrazioni vigilanti. La Lombardia, oggi, rappresenta un punto cruciale: qui si verifica quanto lo Stato sappia essere presente, competente, esigente. Parlare di Giovanni Falcone significa guardare questo presente con strumenti adeguati, non per evocare il passato, ma per rimettere al centro la responsabilità pubblica.

Una postura dello Stato: Giovanni Falcone e la responsabilità pubblica

Giovanni Falcone costruisce la propria traiettoria dentro le istituzioni, attraversando gli snodi decisivi della giustizia italiana. Dagli anni del pool antimafia fino al lavoro al Ministero, il suo percorso segue un’unica direzione: rafforzare lo Stato attraverso il diritto, rendere efficace la lotta alla criminalità organizzata dentro regole certe e strutture solide.

Nel suo operato la legalità assume una forma concreta, fatta di codici, procedure, coordinamento investigativo. Falcone sviluppa un metodo, non una formula. Cura la preparazione tecnica, promuove la collaborazione tra uffici, mette in rete conoscenze e strumenti. Non isola i magistrati, li collega. Non interpreta il ruolo pubblico come tribuna, ma come responsabilità operativa.

Il 23 maggio segna una data fondativa della Repubblica. Per una cooperativa sociale, questa eredità indica una direzione chiara. Ogni progetto che si fonda su regole verificabili, ogni intervento che valorizza le competenze, ogni relazione che si costruisce nel rispetto dei diritti rappresenta una forma attuale di legalità

Oggi la figura di Giovanni Falcone mostra cosa significa esercitare una funzione pubblica con rigore, equilibrio e determinazione. Ogni azione, ogni proposta, ogni scelta dentro il suo percorso testimonia un’idea esigente di Stato: un sistema affidabile, accessibile, trasparente. In questa prospettiva la memoria si fa orientamento, la biografia diventa metodo.

Una società che smette di riconoscere il rigore

Il decadimento civico non si misura nei proclami, ma nei gesti quotidiani. Si osserva nella disattenzione verso le istituzioni, nella rarefazione delle regole condivise, nella difficoltà a riconoscere autorevolezza. In questo contesto, la figura di Giovanni Falcone diventa indicatore: il modo in cui viene evocato, insegnato, ricordato mostra il livello di consapevolezza pubblica di una società.

Falcone rappresenta una cultura della responsabilità. La sua opera testimonia l’importanza del metodo, della competenza, della relazione strutturata tra cittadini e Stato. Oggi questi riferimenti appaiono sfocati. Nei luoghi dell’educazione, nei linguaggi della politica, nella comunicazione istituzionale, la sua presenza si riduce spesso a immagine. Il suo pensiero richiede tempo, studio, rigore: tre elementi sempre meno coltivati.

La rarefazione del senso civico non produce solo disimpegno. Genera ambienti fragili, nei quali la criminalità organizzata può inserirsi senza conflitto. L’indebolimento dei legami pubblici, la scarsa fiducia negli strumenti comuni, la riduzione della politica a cronaca contribuiscono a rendere opachi i confini tra legalità e potere.

Riconoscere questi segnali non equivale a formulare un giudizio morale. Significa osservare una trasformazione sociale che tocca i presupposti della convivenza. Recuperare il significato della figura di Falcone può offrire una direzione precisa: costruire contesti in cui il rigore torni ad avere cittadinanza, in cui la competenza diventi criterio di accesso, in cui la cultura delle istituzioni generi riconoscimento e orientamento.

La sua visione prende corpo anche nella progettazione istituzionale: una giustizia capace di agire per via ordinaria, senza scorciatoie e senza retoriche. La Direzione Investigativa Antimafia e la Direzione Nazionale Antimafia nascono da questa impostazione. L’intelligenza giuridica diventa architettura statale, la postura del magistrato si traduce in impianto amministrativo.

La memoria come compito: una lezione che organizza il presente

La memoria pubblica, oltre la celebrazione, prende forma quando produce orientamento, quando diventa criterio per leggere il presente, quando struttura possibilità d’azione. 

La figura di Giovanni Falcone offre ancora oggi una riserva politica, giuridica e culturale che può guidare scelte concrete.

La sua lezione riguarda la funzione pubblica come forma di impegno. Mostra come si organizza una risposta strutturata alla criminalità, come si costruiscono istituzioni capaci di agire con efficacia, come si sostiene la legalità attraverso strumenti stabili e duraturi. Questa lezione vive solo se esistono soggetti pronti ad assumerla, a tradurla in forme operative, a riconoscerla come parte della propria responsabilità.

Nel campo educativo, nella formazione delle professioni, nella gestione delle amministrazioni, l’esempio di Falcone può offrire contenuti, metodi, modelli. Ogni politica che investe nella costruzione della legalità come pratica quotidiana partecipa di questa eredità. Ogni scelta che rafforza l’infrastruttura pubblica rende quella memoria attuale.

Oggi, trentatré anni dopo Capaci, parlare di Giovanni Falcone significa progettare. Significa connettere analisi e decisione, conoscenza e azione. La sua figura richiede interlocutori capaci di proseguire, continuità di funzione, esercizio di costruzione di una memoria partecipata e collettiva.

Un’eredità da rendere operativa

Il 23 maggio segna una data fondativa della Repubblica. Ogni anno, questo giorno propone una verifica. Chiede di osservare la qualità delle istituzioni, la consistenza del dibattito pubblico, la capacità della società di riconoscere i propri riferimenti. Giovanni Falcone rappresenta un punto stabile: la sua figura orienta, struttura, offre metodo.

Rendere attuale il suo insegnamento significa investire nella costruzione di istituzioni solide, nella formazione dei funzionari, nella trasparenza delle decisioni. Significa promuovere una cultura giuridica capace di affrontare la complessità senza semplificazioni. Significa agire su ciò che rafforza la fiducia pubblica: chiarezza delle regole, accessibilità degli strumenti, responsabilità condivisa.

Per una cooperativa sociale, questa eredità indica una direzione chiara. Ogni progetto che si fonda su regole verificabili, ogni intervento che valorizza le competenze, ogni relazione che si costruisce nel rispetto dei diritti rappresenta una forma attuale di legalità. Lavorare per l’autonomia delle persone, costruire economie trasparenti, rendere tracciabile il valore sociale prodotto: tutto questo partecipa della stessa idea di giustizia che Falcone ha incarnato.

Il tempo presente offre le condizioni per riconoscere questa eredità e per tradurla in azione. La sua attualità non si misura nei tributi, ma nelle scelte. E ogni scelta, oggi, può essere un atto di giustizia.

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