“Fermare la catena della violenza a Gaza”: la testimonianza di Maso Notarianni

Ott 9, 2025 | Attualità

Il presidente di ARCI Milano racconta le violenze subite dopo l’intercettazione israeliana della Global Sumud Flotilla in acque internazionali. La nostra cooperativa, che ha aderito alla missione e alle mobilitazioni di solidarietà, condivide la sua voce come monito a non distogliere lo sguardo da Gaza e da chi continua a resistere.

di Daniele De Luca

Maso Notarianni, giornalista e presidente di ARCI Milano, partito con la Global Sumud Flottilla, ci racconta il suo rapimento e il trattamento ricevuto. Lo abbiamo raggiunto al telefono dopo il rilascio e il rientro in Italia nei giorni scorsi.

Maso, come ti senti dopo questa esperienza?
«Sono provato, stanco, ma molto orgoglioso di quanto abbiamo fatto. Ero a bordo della “Karma”: ci hanno intercettato a 40 miglia dalle coste di Gaza, e quindi in acque internazionali, con una fregata militare che si è affiancata ordinandoci di fare rotta sul porto di Ashdod. Poco dopo è iniziato il rapimento vero e proprio — perché dobbiamo essere chiari, siamo stati rapiti da Israele. È arrivato un gommone con a bordo delle forze speciali che sono salite a bordo, ci hanno ordinato di andare sotto coperta e hanno portato loro la barca fino al porto. Quel tratto di navigazione è stato, diciamo, normale: ci hanno consentito di bere e di mangiare».

Che cosa è accaduto una volta arrivati al porto?
«Arrivati al porto è cambiato tutto. Hanno iniziato subito a maltrattarci con spintoni e urla. Dovevamo sempre tenere la testa in basso. Ci hanno portato in un hangar dove ci hanno fatto sedere, sempre con la faccia rivolta verso il basso, e se qualcuno tentava di alzarla per sgranchirsi un attimo arrivava una guardia e la spingeva con violenza. Volevano farci firmare un foglio in cui ammettevamo di essere entrati illegalmente in Israele, ma nessuno lo ha firmato. Al controllo di sicurezza hanno preso e buttato via tutto quello che avevamo, compresi orologi e medicine. Ci hanno dato delle tute e una maglietta bianca. Avevamo un avvocato israeliano che doveva assisterci, ma non gli è stato consentito di avvicinarsi, non lo abbiamo mai visto. Poi mi hanno chiesto se accettavo di firmare un documento con il quale accettavo l’espulsione dal Paese dopo 72 ore, e ho firmato».

«Per noi è stato importantissimo sapere delle grandi manifestazioni che si tenevano in Italia, ci dava molta forza. Il Melograno ha fatto molto bene come cooperativa sociale ad aderire alla protesta e a partecipare. La speranza è che l’ondata di indignazione che si è scatenata insegni alle persone che contro le ingiustizie, penso anche alle condizioni della nostra sanità, ai nostri salari, agli investimenti sulle armi, mobilitarsi è giusto e può portare a risultati»

Poi siete stati portati in carcere.
«Sì, a quel punto ci hanno portato nel carcere vero e proprio, e quello è stato il momento peggiore perché scesi dai furgoni di traduzione ci aspettavano le guardie carcerarie che ci aizzavano addosso i cani lupo. Mi è subito tornato alla mente come i nazisti trattavano gli ebrei nei ghetti dell’Europa orientale. Sembrava di rivivere quelle scene. Nelle celle, dove eravamo in dieci in uno spazio per otto, siamo sempre rimasti senz’acqua: c’era un solo rubinetto da cui usciva un’acqua puzzolente e nauseabonda, ma almeno ci si poteva sciacquare la bocca. Si divertivano ad alzare e abbassare la temperatura in continuazione, da freddissimo a caldissimo e viceversa, tutto il tempo. Per tutta la notte e il giorno dopo poi ispezioni di continuo. Di notte a volte entravano o puntavano su di noi i fucili con i puntatori laser per spaventarci. Altre volte ci facevano uscire, ci portavano in un furgone, facevamo il giro dell’isolato e ci riportavano in cella. Io sono cardiopatico e non ho potuto prendere le mie medicine, altri che soffrono d’asma hanno avuto un paio di crisi e anche a loro erano stati tolti i farmaci.

Come è avvenuto il rilascio?
«Saliti sull’ennesimo furgone che ci hanno fatto prendere, siamo arrivati in aeroporto. Siamo stati banditi da Israele per 100 anni. Gli italiani sono tornati tutti, ma lì ci sono ancora 130 persone, rapite, di cui nessuno sa niente e posso bene immaginare come li stanno trattando. Ora hanno sequestrato altre persone, medici e infermieri partiti con l’altra Flottilla, quella partita dalla Turchia, e ci sono una decina di italiani. Non dobbiamo allentare l’attenzione su quel che succede e non dobbiamo lasciare da solo chi è ancora sequestrato nelle carceri israeliane».

Che importanza per voi hanno avuto le mobilitazioni in Italia?
«Per noi è stato importantissimo sapere delle grandi manifestazioni che si tenevano in Italia, ci dava molta forza. Il Melograno ha fatto molto bene come cooperativa sociale ad aderire alla protesta e a partecipare alle manifestazioni. Adesso chi è ancora in galera ha bisogno di sapere che la mobilitazione continua, non ci si deve fermare. La speranza è che l’ondata di indignazione che si è scatenata insegni alle persone che contro le ingiustizie — e penso alle condizioni della nostra sanità, ai nostri salari, agli investimenti sulle armi — mobilitarsi è giusto e può portare a risultati».

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