Notizie 

Gina Galeotti Bianchi: la partigiana Lia

Apr 24, 2025 | Notizie

La storia di una delle figure più rappresentative della Liberazione di Milano 

C’è un nome che più di ogni altro rappresenta la lotta delle donne milanesi per la Liberazione, quella di Gina Galeotti Bianchi, nome di battaglia Lia. La sua storia è legata strettamente a un quartiere, quello di Niguarda, che si liberò da solo il 24 aprile, la sera prima della insurrezione generale. 

La Liberazione di Niguarda

La storia della Liberazione di Niguarda inizia in modo drammatico, alle 15 del 24 aprile: due staffette partigiane, Gina Galeotti Bianchi e Stella Vecchio, nome di battaglia Lalla, pedalano verso l’ospedale, ufficialmente per portare conforto agli antifascisti ricoverati sotto falso nome, ma in realtà stanno portando l’ordine di insurrezione ai compagni. Ma da un camion tedesco, bloccato a un posto di blocco di antifascisti, parte una raffica di mitra: Lalla si salva, la partigiana Lia muore. Ha 32 anni, è incinta e suo marito è a San Vittore. Racconterà anni dopo Stellina Vecchio che “le donne, che nel piccolo circolo di via Hermada stavano confezionando i bracciali tricolore per l’insurrezione, le si stringono attorno, le danno il caffè, ma lei non si dà pace: “perché non io? Io, una ragazza senza impegni, senza legami…e lei aveva il suo bambino”.

Gli animi sono ormai accesi: i partigiani bloccano una macchina con alcuni ufficiali tedeschi, uno di loro viene ucciso mentre tenta di reagire e gli altri fatti prigionieri. I partigiani fermano un camion che trasporta pietrame e alla Cà di sass sorge la prima barricata dell’insurrezione, vigilata da una squadra di garibaldini e dai primi volontari insurrezionali. La seconda barricata viene fatta poco dopo con sacchi di cemento in via Ornato, una colonna di camion tedeschi cerca di forzare la prima barricata, mentre dal vicino ospedale di Niguarda i partigiani sparano dalle finestre per fermarli e si organizzano le squadre garibaldine che devono presidiare gli accessi alla zona. In serata i partigiani della 3ª brigata Garibaldi Gap prendono la caserma Niguarda, catturando il presidio di repubblichini e trovando armi e munizioni preziose. L’insurrezione è iniziata, all’alba del giorno dopo, e siamo al 25 Aprile, alcune fabbriche sono già occupate, alle 8 del mattino si riunisce il Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia per assumere i poteri civili e militari, mentre in viale Campania 340 persone, partigiani e cittadini e cittadine, camminano verso il Politecnico per occuparlo. La giornata è storia, alle dieci di sera dalle frequenze dell’emittente radio della Repubblica sociale Italiana, che trasmette da Busto Arsizio, i partigiani leggono il primo annuncio della Liberazione: “L’Alto Milanese è liberato dai patrioti italiani!”.

I Gruppi di difesa della donna

“Gina – ricordava alcuni anni fa il presidente dell’Anpi Niguarda, Angelo Longhi – aveva cominciato giovanissima la sua attività antifascista. Nel 1943 era stata arrestata e deferita al Tribunale Speciale per essere stata tra gli organizzatori a Milano degli scioperi di marzo contro la guerra. Incarcerata per quattro mesi, fu liberata con la caduta del fascismo il 25 luglio e l’8 settembre entrò nelle organizzazioni della Resistenza, in particolare i gruppi di difesa della donna”.

Informati della morte della partigiana Lia, arrivano a Niguarda Italo Busetto, comandante provinciale delle brigate Garibaldi, e Giovanni Brambilla, responsabile del lavoro militare all’interno del Comitato federale del Pci milanese, per decidere il da farsi e comunicare che il giorno dopo scatterà l’insurrezione a Milano. Era incinta di sei mesi del primo figlio. Gina Galeotti Bianchi, la partigiana Lia, aveva 32 anni. Era nata in provincia di Mantova il 4 aprile del 1913. 

«Aveva iniziato giovanissima la sua attività antifascista — ricorda il nipote Aldo Savazzi — nel carcere di Parma venne torturata ma non rivelò mai i nomi dei suoi compagni». Poi, dopo la caduta del fascismo, Lia era stata liberata e aveva aderito immediatamente alle formazioni combattenti della Resistenza. «Combattere il fascismo e tornare alla libertà aiutando gli altri era per lei irrinunciabile — continua il nipote – io ero un bambino ma mi ricordo sempre quel sorriso radioso e quella voglia di aiutare tutti. Viveva a Milano e quando veniva a trovare i parenti a Suzzara (Mantova) non dormiva mai a casa. Temeva per rappresaglie. Però non era mai triste, guardava sempre al futuro con ottimismo era convinta che l’oscurità del fascismo sarebbe stata sconfitta».

Lia aveva sposato nel 1938 Bruno Bianchi, anche lui partigiano, comunista e membro della Costituente. Bruno ha sopportato il dolore della perdita della moglie e del suo bambino mentre combatteva contro i nazisti. È morto nel 1982.

Articoli correlati

Ciao, Claudia

Ha continuato ad accompagnare i ragazzi nel loro percorso di crescita, fino a che le è stato...

leggi tutto

Scopri tutti i nostri servizi e progetti

Il Melograno è anche Formazione