Il trionfo della squadra italiana agli Europei di Roma è lo specchio di una società che cambia e diventa più consapevole, inclusiva e aperta. Con lo sport a fare da potente medium di comunicazione di questo cambiamento
Federico Viganò, giornalista, ho ideato e dirigo il Giornale di Segrate. Appassionato di politica e informazione locale, ho collaborato con periodici nazionali e, come addetto stampa, con aziende ed enti locali. Vado in bici da corsa, ma non quanto vorrei.
Nella foto, da sinistra, Chitulu Ali, Marcell Jacobs e Lorenzo Simonelli (Foto Grana/Fidal)
Giovane, ambiziosa, vincente, multietnica. È un poker di caratteristiche che ben tratteggia la squadra azzurra che ha dominato gli ultimi Europei di atletica leggera, giocati in casa, nella Capitale. Un’impresa sportiva andata in archivio mercoledì 12 giugno con l’ultimo squillo della 4×100 a sigillare un medagliere da 11 ori, 9 argenti e 4 bronzi più che sufficiente per dichiarare la selezione azzurra prima tra le nazioni e “profeta in patria”.
Il successo atletico dice però molto di più, un po’ banale forse ma vale la pena ribadirlo anche qui. Tanto più che proprio in queste ore si celebrava a Lucca l’udienza del processo a Roberto Vannacci per le frasi rivolte alla pallavolista Paola Egonu, che, nel “mondo al contrario” del generale, “è italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità…”. Una frase pubblicata non molti mesi fa, ma che di fronte alle fotografie degli azzurri di Roma festanti sotto al tricolore sembra invecchiata di secoli, tratta da uno di quei volumi con le pagine ingiallite che si sgretolano tra le mani più che da fogli freschi di stampa.
Intendiamoci, non che servisse la pioggia di medaglie di Roma a far scivolare via dalla cronaca il brutto episodio che ha visto protagonista il neo parlamentare europeo leghista e, suo malgrado, la pallavolista arrivata, per la delusione, a sfogarsi con l’amaro “l’Italia è un paese razzista”. Il trionfo della nazionale ha però ribaltato la prospettiva e messo tutti di fronte alla realtà dei fatti, a una società che cambia e diventa più consapevole, inclusiva e aperta con lo sport a fare da potente medium di comunicazione di questa trasformazione.
Yemen Crippa, Marcell Jacobs, Chitulu Ali, Mattia Furlani, Eyob Faniel, Lorenzo Simonelli, Yohanes Chiappinelli, Zaynab Dosso. Sono alcuni dei volti – per restare sul tema dei “tratti somatici” – di questa evoluzione (altro che invasione) che vede insieme ragazze e ragazzi nati all’estero e cresciuti in Italia, nati in Italia da genitori stranieri, figli di “coppie miste”, nati in Italia da genitori italiani. Un patrimonio di energie, storie ed esperienze diverse che ha sprigionato il suo potenziale anche al di fuori dello stadio olimpico.
E se il militare diventato politico con il suo mondo al contrario – e i suoi discutibili concetti di “italianità” – ha preso mezzo milione di voti alle Europee, pescando soprattutto tra i meno giovani, per così dire, più resistenti per anagrafe e abitudini ai cambiamenti, il rovescio della medaglia è il voto dei giovani all’estero. Loro, che hanno messo un piede fuori da casa, respirano altrove la trasformazione e le nuove opportunità di conoscenza e crescita reciproca con chi arriva da altri luoghi, altre culture. E – lasciamo perdere i singoli partiti – non hanno premiato chi invoca un paese più isolato, chiuso, respingente. Non è uno sprint ma una maratona. Più Crippa che Jacobs. Ma il futuro è già qui, a portata di medaglia.