Nel nome di un ipotetico “controllo sociale” si introducono norme discriminatorie e illegali
Più che sicurezza, violazione della Costituzione e dei diritti umani. Il nuovo DDL Sicurezza che il governo sta per approvare si accanisce contro ogni forma di dissenso (potrà andare in galera un operaio che protesta davanti ai cancelli della fabbrica per un licenziamento, se la sua protesta anche individuale non è concordata con il prefetto…), ma ancora una volta si accanisce anche contro le fasce più deboli, ovvero i cittadini stranieri che vogliono regolarizzarsi e inserirsi legittimamente come lavoratori nel nostro paese. Vediamo gli articoli più contestati da associazioni e reti sociali.

Gli articoli del Ddl Sicurezza contestati
Introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (art. 10 bis introdotto nel T.U. immigrazione, Dl.lgs 286/98, dall’art. 1 comma 16 D.D.L.)
La nuova disposizione configura un illecito contravvenzionale, sanzionato con un’ammenda i cui limiti edittali variano tra i 5.000 ed i 10.000 euro – non oblazionabile. La competenza in ordine al relativo procedimento penale è devoluta al Giudice di Pace, che può applicare l’espulsione come sanzione sostitutiva. L’effettiva esecuzione dell’espulsione o del respingimento – ex art. 10 comma 2 T.U. immigrazione – comporta la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere per il reato in esame.
La volontà qui è chiara: criminalizzare una condizione personale, quella appunto del migrante, a prescindere da ogni valutazione di pericolosità e non quella di colpire condotte effettivamente lesive di interessi meritevoli di tutela penale. L’incriminazione di tale condizione stride evidentemente con la concezione costituzionale dell’illecito penale e finisce palesemente col violare il principio costituzionale di uguaglianza. Sotto questo profilo, la norma è l’espressione evidente di una politica escludente e marginalizzante dell’immigrazione, sottesa all’intero DDL, che radicalizza l’impronta già fortemente discriminatoria che connota la legislazione finora vigente in materia. Sotto altro aspetto, la norma pare del tutto inefficace, in quanto l’ambito applicativo finisce col coincidere con le situazioni in cui è già prevista l’espulsione amministrativa. Considerato, infatti, che l’allontanamento definitivo del migrante irregolare dal territorio rappresenta evidentemente il
fine precipuo della disposizione, confermato dalla previsione dell’espulsione come sanzione sostitutiva e della pronuncia di non luogo a procedere nel caso dell’effettiva esecuzione, emerge tutta l’irrazionalità della norma. Gravissime, inoltre, le conseguenze in termini di accesso a servizi essenziali e di lesione di beni costituzionali fondamentali, quali il diritto alla salute ed all’istruzione scolastica per i minori: gli obblighi di cui agli artt. 361 e 362 c.p. costringerebbero medici, operatori sanitari e presidi a denunciare i migranti irregolari, vanificando il giusto ripristino del divieto di segnalazione all’autorità degli stranieri che accedono alle strutture sanitarie (art. 35 del T.U. immigrazione).
Prolungamento del tempo massimo di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione da due a sei mesi (art.1 comma 22 D.D.L.)
Il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione è prorogabile due volte, fino ad un massimo di centottanta giorni, con provvedimento del Giudice di Pace, qualora lo straniero non collabori al rimpatrio o semplicemente in caso di ritardi nell’ottenimento della documentazione dai paesi terzi.
La detenzione amministrativa (il trattenimento all’interno degli ex CPT, oggi CIE), già come delineata dalla previgente normativa presenta evidenti profili di frizione costituzionale, comportando una coercizione della libertà personale dai presupposti molto discrezionali e non soggetta ad un effettivo vaglio giurisdizionale (attribuito al Giudice di Pace dal 2004). Il DDL sicurezza prolunga a dismisura la durata dei trattenimenti, smascherandone ed inasprendone la connotazione essenzialmente punitiva; peraltro, paradossalmente le proroghe, secondo la dizione della norma, sarebbero giustificabili anche in conseguenza di semplici ritardi burocratici ed a prescindere dalla condotta non collaborativa del migrante trattenuto.
Esibizione del permesso di soggiorno per accedere ai servizi pubblici e per gli atti stato civile, tranne che per le prestazioni sanitarie o le iscrizioni alle scuole dell’obbligo (art. 1 comma 20 lett. F D.D.L.)
L’effetto maggiormente paventato riguarda l’impossibilità di registrazione, da parte del genitore straniero privo di permesso di soggiorno (esposto peraltro al pericolo di denuncia da parte dell’ufficiale dello stato civile). Va rilevato a riguardo che i permessi di soggiorno per gravidanza (titolo che consentirebbe di procedere alla registrazione e al riconoscimento) di regola sono rilasciati soltanto alla madre provvista di passaporto o documento equipollente e, spesso, le straniere ne sono prive. L’eventuale mancato riconoscimento può comportare l’apertura di procedure di adottabilità dei minori non riconosciuti, pregiudicando gravemente il diritto del minore, universalmente riconosciuto, all’unità familiare. Inoltre, l’esposizione al rischio della denuncia penale potrebbe indurre le madri a scegliere di non partorire nelle strutture sanitarie, con palesi
rischi per la salute propria e del nascituro e produrre fenomeni gravissimi quali la nascita di una “generazione di fantasmi”.
Obbligo di esibizione del permesso di soggiorno da parte dei cittadini stranieri che intendono contrarre matrimonio in Italia (art. 1 comma 15 D.D.L.)
È palese il carattere discriminatorio della norma in danno dello straniero irregolare, compromettendone la libertà di matrimonio.
Iscrizione e variazione anagrafica dei cittadini stranieri subordinata alla verifica da parte del Comune delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile (art. 1 comma 18 e 19 D.D.L.)
Anche in questo caso è evidente la connotazione discriminatoria della disposizione, che può pregiudicare l’esercizio, da parte dello straniero regolare, di tutti i diritti correlati all’iscrizione anagrafica, in danno evidentemente delle fasce sociali più deboli.
Alloggio agli stranieri (art. 1 comma 14 D.D.L.)
E’ punito con la reclusione fino a tre anni e l’eventuale confisca dell’immobile chi dà alloggio a pagamento, «per trarne ingiusto
profitto», a immigrati privi di permesso al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione
Ricongiungimenti familiari e minori (art. 1 comma 22, lett. p,q,r e s)
E’ precluso il ricongiungimento quando il familiare è coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante che abbia altro coniuge già presente nel territorio nazionale. Per il ricongiungimento del genitore naturale al figlio minore soggiornante in Italia si richiede il regolare soggiorno del minore in Italia con l’altro genitore.
Rilascio del permesso di soggiorno ai minori non accompagnati al compimento della maggiore età: per avere diritto al permesso i minori devono risultare affidati o sottoposti a tutela cittadinanza italiana per matrimonio (art. 1 comma 11)
È elevato da sei mesi a due anni (tre per i residenti all’estero) il periodo di tempo oltre il quale lo straniero che ha sposato cittadino italiano può presentare la richiesta di cittadinanza I tempi si dimezzano se ci sono figli nati o
adottati dalla coppia).
Contributo per la cittadinanza (art. 1 comma 12 D.D.L)
È richiesto un contributo di 200 euro per istanze, dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza. Metà del gettito dovrà essere destinato al finanziamento di progetti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione diretti alla collaborazione internazionale e alla comparazione ed assistenza ai paesi terzi in materia di immigrazione, l’altra alla copertura degli oneri per le attività istruttorie del Dipartimento in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza.
Money Transfer (art. 1 comma 20 D.D:L)
Si obbligano gli sportelli di money transfer a fotocopiare il permesso di soggiorno dei loro clienti ed a conservare le copie per 10 anni. La violazione dell’obbligo è sanzionata con la cancellazione dall’elenco degli agenti in attività finanziaria.
Accordo di integrazione (art. 1 comma 25 D.D.L)
Lo straniero è obbligato a sottoscrivere l’accordo, per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno. Si introduce una sorta di “permesso a punti”, articolato in crediti legati ad obiettivi di integrazione da conseguire lungo l’arco temporale di validità del permesso. Con un regolamento governativo, da emanare entro i prossimi 180 giorni, si dovranno definire i criteri e le procedure per la sottoscrizione. La perdita dei crediti comporta la revoca del titolo di soggiorno e l’espulsione.
Contributo sulla domanda di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno (art. 1 comma 22
D.D.L.)
Il contributo varia tra un minimo di 80 a un massimo di 200 euro.