Italiani, popolo di migranti (e cialtroni)

Mag 23, 2025 | Opinioni

Daniele De Luca, giornalista professionista, milanista. Dopo una lunga esperienza a Radio Popolare Milano, AGR, CNRMedia e altre collaborazioni da alcuni anni si occupa principalmente di comunicazione istituzionale e ufficio stampa. 


Migrazioni, immigrazioni, ipocrisie

“L’intelligenza non avrà mai peso, mai

nel giudizio di questa pubblica opinione.

Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai

da uno dei milioni d’anime della nostra nazione,

un giudizio netto, interamente indignato:

irreale è ogni idea, irreale ogni passione,

di questo popolo ormai dissociato

da secoli, la cui soave saggezza

gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.

Così scriveva Pier Paolo Pasolini degli italiani. E come dargli torto davanti a uno degli spettacoli più ipocriti degli ultimi decenni, quello della legge sulla cittadinanza italiana datata 1992.

Chi sono i “cittadini” italiani? E soprattutto, esistono davvero gli “italiani”? Sì, più o meno da quando Mike Bongiorno li radunava davanti a Rischiatutto e la lingua italiana grazie alla televisione entrava finalmente in tutte le case. Prima, assolutamente no.

Nelle trincee della Prima guerra mondiale centinaia di fanti siciliani, campani o pugliesi a fatica capivano la lingua dei tenenti e dei generali. Il fascismo ha fatto di tutto per creare il mito della razza italica, partendo dall’Impero romano. Nulla di più falso, il segreto della civitas romana stava proprio nell’integrazione di ogni cultura, le più diverse, sotto un’unica burocrazia imperiale.

L’imperatore Traiano era spagnolo. Idem Adriano. Fece costruire il suo mausoleo (l’odierno Castel Sant’Angelo), ordinò la ricostruzione del Pantheon, del Ponte Elvio e la costruzione della sua dimora, Villa Adriana (situata a Tivoli). È ricordato anche per l’edificazione in Britannia dell’ancor oggi visibile Vallo di Adriano, costruito tra il 122 e il 127. Costantino, il primo sovrano cristiano della storia di Roma, era serbo. Sant’Ambrogio, patrono di Milano, era tedesco, nato a Treviri.

Di che “italianità” stiamo parlando? Garibaldi, nato a Nizza (quindi per l’anagrafe del tempo cittadino francese), disprezzava il Sud per il ruolo soverchiante della Chiesa. “Il prete è l’assassino dell’anima poiché in tutti i tempi egli ha fomentato l’ignoranza, e perseguito la scienza”, diceva. E ancora: “Non esiste il benché minimo villaggio ove risiede un prete, che non sia un focolare di reazione, una scuola d’ignoranza e di tradimenti alla patria”. Eppure “Garibaldi ha fatto l’Italia”, ci insegnano. Quale Italia? L’Italia dei milioni di migranti in tutti i continenti. Siamo da sempre un popolo in viaggio, siamo ovunque in ogni paese del mondo. Quanti popoli stranieri hanno fatto l’Italia?

La nostra forza semmai è sempre stato il fatto di essere una mescolanza di geni, stirpi, cromosomi di decine di popoli che da noi si sono cento volte incrociati, dai longobardi agli svevi dagli arabi ai greci.

Guardiamo alle ultime Olimpiadi di Parigi. Marcell Jacobs nato a El Paso da padre texano e mamma italiana è stato soltanto la punta di diamante di un gruppo che va da Chituru Ali, cresciuto a Como da mamma nigeriana e papà ghanese, a Zaynab Dosso, nata in Costa d’Avorio e arrivata in Italia nel 2009 per ricongiungersi con i genitori. E poi Lorenzo Simonelli, nato a Dodoma da madre tanzaniana che deve il suo cognome al padre antropologo che lavorava in Africa; Mattia Furlani, ancora oggi allenato dalla mamma di origini senegalesi Kathy Seck, e per restare al lungo Larissa Iapichino, con la mamma Fiona May – nata in Regno Unito da genitori di origine giamaicana – che tanto ha regalato all’Italia dopo il matrimonio con Gianni Iapichino.

Storie di nuovi italiani. Da chi, come il mezzofondista diventato maratoneta Yeman Crippa, deve tutto ai genitori Roberto e Luisa che lo hanno adottato da un orfanotrofio di Addis Abeba dopo essere scappato alla guerra civile etiope, a chi solo recentemente ha concluso il processo di naturalizzazione, come il triplista nativo cubano Andy Diaz (che farà il suo esordio in azzurro proprio a Parigi) o l’altra maratoneta Sofiia Yaremchuk, ucraina stabilitasi in Italia nel 2018 e che difende i nostri colori dal 2021.

Una storia per tutte: Daisy Osakue, la nostra lanciatrice del disco arrivata in finale con il primato italiano (63.66) ha abbattuto un record che durava da 25 anni. Ovvero da quando lei nasceva a Torino, da genitori nigeriani entrambi sportivi (papà judoka, mamma giocatrice di pallamano): ha studiato al liceo linguistico, nel 2018 tutta Italia si è occupata di lei perché un’aggressione a sfondo razzista — il lancio di uova mentre era per strada a Moncalieri — le procurò la lesione di una cornea. Daisy adesso studia giustizia criminale alla Angelo State University, in Texas e lì si allena, per migliorare i record dell’Italia.

Perché questi ragazzi non conoscono proprio confini. Mentre si ciancia sull’ipotetica difesa di una supposta inesistente italianità (che non esiste nemmeno in cucina, per dire), mentre una buona fetta di politica e di opinione pubblica si interroga sulla concessione di dimezzare il tempo di attesa (da 10 a 5 anni) per essere italiani, nel frattempo che succede? Che gli italiani, da almeno dieci anni, sono tornati ad emigrare. Ma non lo dice nessuno. Quindi, non solo siamo ipocriti, siamo proprio dei gran paraculi. Noi emigriamo ovunque nel mondo, ma temiamo ‘l’invasione’ altrui. E quanto emigriamo?

Ecco i numeri del 2024 secondo la Fondazione Migrantes. Dal 2020 l’Italia conta circa 652 mila residenti in meno. Nello stesso periodo, invece, continua la crescita di chi ha deciso di risiedere fuori dei confini nazionali (+11,8% dal 2020). Oggi la comunità dei cittadini e delle cittadine residenti all’estero è composta da oltre 6 milioni 134 mila unità: da tempo, l’unica Italia a crescere continua ad essere soltanto quella che ha scelto l’estero per vivere.

Che la migrazione italiana sia una storia mai finita e sempre in itinere lo attestano i dati sulle classi di età. La comunità ufficiale, infatti, si svecchia sempre di più e alle generazioni emigrate da più di 15 anni (48,5%) si sono via via affiancate, fino a superarle, quelle all’estero da meno di 15 anni (51,5%) e, in particolare, tra i 5 e i 15 anni (28,2%) e da meno di 5 anni (23,3%). Anche la composizione per età pone in evidenza quanto la presenza italiana all’estero sia articolata ed eterogenea. Il 23,2% di chi risiede all’estero ha tra i 35 e i 49 anni; il 21,7% appartiene alla fascia di età 18-34 anni e il 19,5% a quella 50-64 anni. Il 14,6% di chi è all’estero è minorenne, mentre gli anziani sono il 21,0%. Di questi: il 9,5% ha tra i 65 e i 74 anni, il 6,7% ha tra i 75 e gli 84 anni e il 4,8% ha più di 85 anni.

Emigriamo ma non integriamo. È la perdita del bene comune, dell’insieme come fine dell’agire sociale, ma anche la perdita dell’interesse, della passione sociale come molla dell’azione sociale: tutto questo indebolisce le relazioni, indebolisce il Paese, sfibra le città. Distrugge l’unica vera italianità: la mescolanza.

Estraneità ed esclusione riducono il concetto di Paese (e di città) che da casa diventa per alcuni solo tenda; da luogo di partecipazione diventa luogo di lavoro; da luogo di incontro diventa luogo di scontro; da luogo per tutti diventa luogo di alcuni; da luogo di integrazione diventa luogo di esclusione. Solo l’incontro aiuta a costruire relazioni che vincono la paura, aprono al confronto, invitano al dialogo.

Italiani, che paraculi.

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