E di nuovo cambio casa, di nuovo cambiano le cose
Di nuovo cambio luna e quartiere
Come cambia l’orizzonte, il tempo, il modo di vedere
Cambio posto e chiedo scusa, sì
Ma qui non c’è nessuno come me
Ivano Fossati
(“E di nuovo cambio casa”, RCA edizioni musicali, 1979)
di Dario Colombo
La casa, l’abitare, il modo in cui rispondere in maniera concreta a uno dei bisogni primari dell’uomo, il bisogno di sicurezza e di protezione1; il luogo sicuro attorno cui costruire il progetto di vita, dando spazio all’identità personale e a quella delle persone con cui si sceglie di condividere il proprio percorso.
La casa è il luogo degli affetti (e si potrebbero citare versi di poesie e di canzoni a perdita di memoria), è punto di partenza e di arrivo (“Casa mia, casa tua”, per dirla con Ghali o “Aiutiamoli a casa loro”, per dirla con Salvini), è l’oggetto – o almeno lo è stato per tanti anni – di politiche pubbliche tese a consentire a tutti i cittadini di vivere tra quattro mura dignitose, in appartamenti salubri e abbordabili2 da un punto di vista economico, si pensi solo al piano INA case avviato nel 1949, con importanti interventi anche a Milano3.
Nelle città al passo coi tempi, chiamiamole pure quattro punto zero, la casa, da bene primario si sta, tuttavia, sempre più trasformando in bene di lusso, con espulsione progressiva dei ceti meno abbienti (non solo poveri, ma anche di quello che una volta veniva definito il ceto medio) prima verso le periferie, poi sempre più lontano, nelle cinture metropolitane, con gli inevitabili problemi che ciò comporta in termini di mobilità e di inquinamento. La città che sale, quella dipinta a inizio Novecento da Umberto Boccioni, continua a salire, insomma, ma solo di prezzo.
La gentrificazione e l’espulsione degli abitanti
Il meccanismo è noto e va sotto il nome di gentrificazione, ossia la riqualificazione dei quartieri con collegato innalzamento del valore e dei prezzi delle abitazioni e, inevitabile e conseguente, espulsione dei ceti popolari dai quartieri riqualificati4.
Il fenomeno, stando all’Italia, ha dapprima riguardato i cosiddetti centri storici di pregio, considerata anche la forte vocazione turistica degli stessi: si pensi a Venezia – e si veda, se si vuole approfondire, “Welcome Venice”, il bel film di Andrea Segre – e a Firenze. Da qualche anno la gentrificazione interessa anche Milano, considerate anche l’assenza di politiche pubbliche e la progressiva “turistificazione” di una città che si racconta senza muri ma che propone barriere di censo sempre più elevate.
La casa, ormai un miraggio
La vita a Milano è diventata carissima e comprare casa, e tanto più locarla, è diventato per molti un miraggio, con quartieri fino a una decina di anni fa ancora popolari interessati da fenomeni di speculazione turistico-immobiliare un tempo impensabili (si citi, a mo’ di esempio, il solo quartiere posto a Nord di piazza Loreto, divenuto No-Lo e oggi luogo di una sorta di movida allegra e modaiola, tra piazze tattiche, campi da ping pong e incroci abbelliti da veri e propri interventi di cosmesi urbanistica), favoriti anche, e forse soprattutto, da una politica che parla di inclusione e che in realtà attua un programma sistematico di gentrificazione, incidendo in modo profondo sull’identità del tessuto cittadino e sulla sua vocazione operativo-professionale.
I passaggi sono inesorabili: si riqualifica in chiave estetica e attraverso il cambiamento dei servizi (dai negozi di prossimità ai ristoranti, dai bar ai birrifici artigianali, dalle piscine pubbliche ai bagni termali) il quartiere, le case perdono gli abitanti storici e vengono acquisite, progressivamente ma sistematicamente, da fondi immobiliari che le ristrutturano e le rimettono sul mercato, in parte vendendole a peso d’oro (ma per farlo esercitano pressioni anche sulla politica affinché i servizi rispondano ai bisogni di ceti medio-alti e le sacche di disagio allontanate), in parte affittandole soprattutto per i cosiddetti affitti brevi, ossia per soggiorni turistico-professionali di pochi giorni, legati alle variegate e disparate offerte di eventi (le cosiddette “week”, perché settimana fa vecchio e l’inglesismo a caso piace alle gente che piace): il tutto ovviamente a prezzi ai più inaccessibili, con buona pace di chi pensa ancora a Milano come alla città “col cӧr in man”.
Il progressismo cosmetico
Il fenomeno, che di progressista (non diciamo di sinistra che fa tanto Novecento ed evitiamo, in questo caso, pure l’inglese “labour”, che sa di sindacato e piace ancora meno) ha davvero poco per quanto si possa cercare tra le pieghe di narrazioni che parlano di bellezza, di sostenibilità e di vivibilità, non può non preoccupare chi deve occuparsi per obbligo statutario (mission per il gergo interno, e non solo per i cinefili) dei problemi sociali, cercando di dare risposte organizzative ai bisogni via via emergenti.
È questo, o almeno così noi lo intendiamo, il compito delle Cooperative sociali come la nostra, che non possono quindi non guardare al tema dell’abitare, considerato come un grande problema sociale per il quale impegnarsi cercando di arrivare a co-costruire piattaforme di lavoro che aiutino, nei limiti del possibile e per quanto di competenza, a orientare le politiche sulla casa, in un’ottica che punta a calmierare gli effetti espulsivi della gentrificazione e prova, per converso, a dare risposte, lavorando all’individuazione di soluzioni che uniscano gli aggettivi popolare (no, non è una parolaccia e vogliamo continuare ad usarla anche se vecchia e italiana) e sociale e propongano soluzioni integrate e rispondenti al bisogno.
Un nuovo racconto, ancora tutto da scrivere
Vogliamo impegnarci per costruire un racconto rinnovato, anzi rigenerato, contribuendo a co-costruire narrazioni più aderenti alla realtà, che assumano il caro-vita come un problema e il bello non solo da un punto di vista estetico ma anche da una prospettiva sociale, e quindi accessibile, fruibile, abbordabile. Città da vivere per le diverse generazioni e per le diverse classi sociali (mischiate tra loro e non confinate in una cintura metropolitana, meglio se lontana da occhi indiscreti); case da abitare e non solo da frequentare per fugaci puntate legate ad affari o ad occasioni lavorative; quartieri a misura di cittadini e non solo di turisti, da vivere e non solo da guardare, evitando “gli orizzonti verticali”5 da ammirare dal basso come si guardano le lussuose imbarcazioni ancorate, d’estate, nei porti della Costa Smeralda o del Sud della Corsica.
La Cooperazione sociale parte attiva del processo
Ma come diventare parte attiva di questo processo? Provandoci, questa la nostra risposta, da una parte promuovendo lo studio del fenomeno, dall’altra cercando di partecipare alle iniziative che ci paiono meno miopi e che provano a tentare di organizzare risposte al crescente bisogno di case abbordabili, ossia a prezzi accessibili, in linea con gli stipendi delle persone.
In questa direzione la nostra cooperativa si sta muovendo e ha attivato tre linee di intervento attraverso:
- la promozione di piattaforme di abitare collaborativo, iniziative pensate per ospitare – per periodi di massimo 18 mesi – giovani in formazione o in difficoltà per ragioni lavorative all’interno di alcuni servizi residenziali: il patto è di aiutare nei bisogni del servizio, ricevendo in cambio un luogo in cui potere vivere e cominciare a costruire (o a ricostruire) il proprio progetto di vita;
- la garanzia di case in affitto per i propri lavoratori a prezzi calmierati, favorendo, per questa via, migrazioni interne al Paese, di cui si parla poco ma ancora assai significative;
- la partecipazione a bandi e iniziative promosse da enti pubblici, come lo sforzo compiuto con i bandi per l’housing first, finanziati con i fondi del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) o come la recente adesione, in collaborazione con una rete di soggetti del mondo della cooperazione e del privato, alla richiesta di proposte lanciata dal Comune di Milano con il bando “Case per i lavoratori”: su questa iniziativa riponiamo molta fiducia e ci auguriamo, davvero, sia l’occasione per un cambio di passo e per tornare a guardare alla casa come un bene imprescindibile e primario per le persone.
1 Si richiama la celebre teoria di Abraham Maslow, proposta per la prima volta nel 1943 in “A theory of human motivation”
2 Facciamo nostra la definizione scelta dall’OCA (Osservatorio casa abbordabile), organismo promosso dalla Cooperazione di abitanti in collaborazione con il Politecnico di Milano)
3 Si veda “La grande ricostruzione. Il piano Ina-Casa e l’Italia degli anni Cinquanta”, [a cura di] P. Di Biagi, Roma: Donzelli, 2010
4 Per un giocoso, e a tratti spiazzante, approfondimento si veda G. Semi, “Breve manuale per una gentrificazione carina”. Sesto San Giovanni (MI): Mimesis, 2023
5 Rubiamo un verso da “Ha perso la città”, brano tratto dal decimo album di Niccolò Fabi (“Una somma di piccole cose”), pubblicato dall’etichetta Universal nel 2016