Paola Barachetti, sociologa e psicologa, cultrice della materia per gli insegnamenti di psicologia dello sviluppo e psicologia interculturale dello sviluppo, Facoltà di Scienze politiche e sociali, Università Cattolica di Milano. È responsabile dell’area formazione della Cooperativa Il Melograno.
Mi ha fatto molto riflettere il film “E la festa continua!” di Robert Guédiguian: uno sguardo contemporaneo e lucido, il desiderio dolce e un po’ sfocato di una società al confine tra la nostalgia di un passato di impegno politico e militanza e una straordinaria vitalità comunitaria di personaggi immersi nelle vite dell’altro, in una dimensione collettiva, in una Marsiglia umana e inclusiva. Interconnessione al di là della tecnologia.
Gli schermi della società
Il documento presentato al presidente Emmanuel Macron dalla neurologa Servane Mouton e dallo psichiatra Amine Benyamina ha sollevato un acceso dibattito sul tema della necessità di proteggere bambini e adolescenti dalla massiccia esposizione ai dispositivi digitali e, tra questi, primo fra tutti, lo smartphone.
Il rapporto chiede all’esecutivo di vietare l’accesso agli schermi ai bambini sotto i 3 anni e l’utilizzo degli smartphone ai minori di 11 anni e rappresenta un audace tentativo di interrompere quella che gli autori descrivono come “una fase di innamoramento tra il bambino e il digitale”. Ma la Francia non è l’unico esempio, altre istituzioni educative hanno imposto divieti severi all’utilizzo dei cellulari durante l’orario scolastico: in un recente articolo apparso su The Washington Post Joanna Slater racconta l’esperienza del vicepreside Raymond Dolphin di una scuola media nel Connecticut, che ha deciso di vietare l’uso dei cellulari imponendo agli studenti di metterlo in un sacchetto a chiusura magnetica che si sblocca solo all’uscita da scuola, per superare il problema della distrazione e dei conflitti sociali causati dall’utilizzo degli smartphone in classe e ottenendo dei risultati inaspettati: studenti più concentrati e conflitti sociali ridotti.
Numerose altre scuole americane hanno adottato provvedimenti per eliminare i cellulari dalla vita scolastica, anziché affidarsi a regole sul loro utilizzo e queste decisioni ci invitano a riflettere su quella che viene considerata una sfida più ampia nell’ambito dell’istruzione, rappresentata dal possibile impatto negativo di una tecnologia indiscutibilmente utile, ma pervasiva e spesso dannosa.
Di fronte alle esperienze di limitazione sociale o controllo dell’utilizzo delle tecnologie da parte dei ragazzi possiamo avere differenti atteggiamenti: possiamo vedere queste azioni come una risposta alla crescente preoccupazione per l’impatto che i cellulari e i social media possono avere sull’istruzione e la salute mentale dei giovanissimi e dei giovani, oppure come una tendenza più ampia in risposta alla rivoluzione tecnologica che, nel corso degli anni, dall’accesso ad internet ad oggi, ha trasformato radicalmente la vita di ognuno di noi e – certamente – l’esperienza di vivere l’adolescenza.
Verso la seconda traiettoria ci conduce un interessante testo del 2022 di Matteo Lancini e Loredana Cirillo1 che colloca le decisioni, e ancor prima le riflessioni sull’utilizzo o il non utilizzo del telefonino da parte di bambini e ragazzi, situando culturalmente le scelte degli adulti. La dimensione all’interno della quale si muovono le preoccupazioni di genitori ed educatori verso i possibili danni sui minori derivanti dall’utilizzo dei dispositivi è molto più ampia e significativa, se guardata con la responsabilità di un mondo adulto che, dalla nascita di Internet ad oggi, ha costruito lo spazio culturale, politico, sociale entro il quale la tecnologia si è sviluppata.
1Lancini M. , Cirillo L. 2022. Figli di internet. Erikson, Trento.
In America come in Italia la rivoluzione tecnologica si fa strada in una società caratterizzata da una forma di capitalismo sfrenato che, come hanno scritto tra gli altri Naomi Klein in America e Marco Revelli in Italia, è alla base di crescenti disuguaglianze economiche e sociali, rese ancora più evidenti dal potere delle macchine e della tecnologia; ma è anche una società sempre più votata all’individualismo, nella quale l’attenzione è centrata sull’autonomia personale, sulla sempre minor capacità di costruire coesione sociale, collaborazione, con un’enfasi eccessiva sul successo personale, sulla competizione, sulla pressione e le aspettative. Una società nella quale non si può “non essere all’altezza”, dove bellezza, notorietà, ricchezza definiscono gli scenari sociali e culturali narcisistici della contemporaneità, nei quali bambini e adolescenti sono costretti a crescere.
In questa società, nell’era digitale, il primo motivo per cui si regala un cellulare ad un bambino, ad un preadolescente o ad un adolescente è il controllo, la necessità dei genitori di sapere sempre dove il proprio figlio, la propria figlia si trova, di poter sempre comunicare con lui o con lei, spesso senza chiedersi cosa pensano bambini, bambine e adolescenti di queste forma di protezione, che effetti abbia l’essere controllati costantemente in una fase della vita nella quale prevale il bisogno di costruire e rafforzare la fiducia in sé stessi, sperimentando il mondo, l’indipendenza, il distacco dai genitori e la relazione con l’altro.
L’adolescenza e il corpo digitale
L’adolescenza è caratterizzata da compiti di sviluppo, primo fra tutti la separazione dai genitori e la conquista dell’indipendenza: è in questa fase travagliata, ambivalente, accompagnata spesso da una vacillante fiducia nelle proprie potenzialità, dal desiderio di farcela da soli, che l’adolescente costruisce i principi e gli ideali personali e amplia le proprie relazioni e i propri punti di riferimento oltre la stretta cerchia familiare: gli amici e i coetanei, gli insegnanti, altri adulti di riferimento.
Il contesto scolastico, i coetanei, le relazioni a scuola sono la palestra dove vivere le più importanti esperienze di crescita, in una fase di cambiamenti del corpo e della psiche che necessitano di uno spazio fisico e mentale ove poter essere accolti e risignificati.
L’analisi delle dinamiche digitali e del loro impatto sul corpo e sull’identità degli adolescenti apre uno sguardo critico sulle interazioni virtuali e sui cambiamenti comportamentali che caratterizzano l’era digitale: con lo sviluppo massiccio degli smartphone e l’accesso costante a Internet, l’utilizzo delle piattaforme digitali si manifesta sempre più precocemente trasformando il modo in cui costruiamo le nostre relazioni. Gli adolescenti sono persone impegnate in un delicato quanto complesso processo di individuazione, alla ricerca della propria identità separata dagli schemi parentali e della possibilità di integrare molteplici sfaccettature del proprio essere biologico, psicologico e sociale.
Oggi questo delicato processo di svolge in un contesto digitale che influenza profondamente il modo in cui gli adolescenti si percepiscono e si relazionano con il mondo: la tecnologia offre spazi online privi della materialità dei corpi, ma ricchi di immagini, modificate o reali che siano, scelte per presentarsi su un palcoscenico, che è uno spazio pubblico immenso senza protezioni, dove è difficile sentirsi adeguati, “all’altezza”. L’interazione con la Rete non è più semplicemente un atto di fruizione passiva, ma un’opportunità di creazione di sé stessi, protagonisti attivi nella costruzione della propria identità virtuale attraverso la condivisione di contenuti personali e l’esplorazione di diverse forme di espressione online. La Web Identity diviene così uno specchio della complessità dell’io, un terreno fertile per esplorare e negoziare l’identità in un contesto sempre più interconnesso.
Iperconnessi in culla: i numeri
La trasformazione digitale ha reso l’accesso all’informazione e la comunicazione globale una realtà quotidiana per milioni di persone in tutto il mondo. I dati di We Are Social del 2023 mostrano un utilizzo medio degli smartphone da parte degli adolescenti americani di 5 ore al giorno, di cui il 42% è dedicato ai social media; unendo tutte le altre attività basate su uno schermo, si arriva ad una media compresa tra le 7 e le 9 ore al giorno. Save The Children, nel 2023, denuncia che in Italia il 78,3% dei bambini tra gli 11 e i 13 anni utilizza Internet tutti i giorni e lo fa soprattutto tramite lo smartphone; che si abbassa sempre di più l’età in cui si possiede o si utilizza uno smartphone, con un aumento significativo di bambini tra i 6 e i 10 anni che utilizzano il cellulare tutti i giorni, dopo la pandemia. E ancora che nonostante l’utilizzo diffuso, in Europa l’Italia è in quart’ultima posizione nella mappa delle competenze digitali (i giovanissimi che hanno acquisito elevate competenze digitali sono in Italia poco più del 27% contro il 50% dei coetanei francesi e il 47% degli spagnoli).
Se il primato dei bambini iperconnessi secondo ANSA va agli Stati Uniti, con il 92% dei piccoli che inizia ad utilizzare i dispositivi già nel primo anno di vita e all’età di due anni li utilizza giornalmente, anche in Italia il quadro non è molto dissimile: 8 bambini su 10 tra i 3 e i 5 anni sanno usare il cellulare dei genitori, il 30% dei genitori dichiara di utilizzare lo smartphone per calmarli o distrarli già durante il primo anno di vita e il 70% al secondo anno. Nel 2022 le associazioni di pediatri insieme a Fondazione Carolina e Meta hanno condotto una ricerca nazionale con un campione di 800 famiglie dalla quale emerge che il 72% dei genitori di bambini nella fascia d’età 0-2 anni utilizza dispositivi elettronici durante l’allattamento e i pasti dei propri figli e che il 26% lascia che i figli li usino in completa autonomia. Infine, relativamente ai segnali acustici emessi dagli smartphone, uno studio americano rileva che un adolescente riceve in media 237 notifiche al giorno.
Misure preventive e danni da tecnologia: in quale spazio ci muoviamo?
Non è possibile ragionare sulle misure di protezione adottate da insegnanti e amministratori di istituzioni educative pubbliche e private, senza considerare anche gli esiti che le tecnologie possono produrre sulla psiche di bambini e ragazzi; a partire dal presupposto oggettivo che Internet e i social media hanno creato nuove modalità di interazione e di accesso alle informazioni, ma ha anche una serie di sfide e problematiche, soprattutto per le giovani generazioni. In un recente articolo sul settimanale The Atlantic, tradotto da Internazionale2, Jonathan Haidt scrive che dal 2000 al 2019 negli Stati Uniti il tasso di depressione e ansia è aumentato del 50%, mentre il tasso di suicidi tra gli adolescenti dai 10 ai 19 anni è cresciuto del 48% e che questi problemi non riguardano solo gli Stati Uniti, ma sono diffusi anche in altri paesi come Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda.
La generazione Z, i nati a partire dal 1996, sembra essere particolarmente colpita da ansia, depressione e altri disturbi correlati e il declino della salute mentale è solo uno dei segnali di una crisi più ampia che riguarda anche il senso di solitudine, la mancanza di amicizie tra gli adolescenti, oltre al peggioramento dei risultati scolastici. Smartphone e social media sembrano essere la principale causa di questo declino: i giovani trascorrono sempre più tempo online, esponendosi ad una vasta gamma di contenuti ed interazioni virtuali e questo ha determinato una diminuzione del tempo trascorso faccia a faccia con gli amici e la riduzione delle opportunità di interazione sociale significativa.
2Haidt J. (2024). Un’infanzia al telefono. Internazionale n. 1561, 3/9 maggio 2024
Le interazioni online offrono una serie di vantaggi, ma mancano di molte delle caratteristiche che rendono le relazioni del mondo reale significative: sono spesso asincrone, impersonali e prive di corpo e questi elementi sembrano incidere significativamente sull’aumento degli stati ansiosi e sulla drastica riduzione delle capacità di affrontare le sfide e le difficoltà nella vita reale, quella offline.
Relativamente agli impatti sulla salute mentale, negli ultimi dieci anni molti esperti di differenti discipline si sono concentrati sulla ricerca delle basi neurobiologiche che sottendono il comportamento legato alla dipendenza dai dispositivi tecnologici, aprendo un dibattito vivace nella comunità scientifica. Studi condotti da Griffiths nel 20133 hanno esplorato la dipendenza dai social network e la nomofobia, contrazione di “no mobile phone phobia” o paura irrazionale di rimanere senza il proprio smartphone o di non poterlo utilizzare per un tempo prolungato; un disturbo comportamentale caratterizzato da stati ansiosi e disagio significativo provocato dalla mancanza di accesso al cellulare, spesso accompagnato da sintomi come palpitazioni, sudorazione, agitazione e panico.
Gli studi hanno dimostrato l’esistenza di legami tra la ricerca della gratificazione, la regolazione dell’umore e la plasticità neurale, con evidenti analogie con la dipendenza da sostanze, riconoscendo l’importanza della dopamina (il neurotrasmettitore responsabile della regolazione dell’umore, del movimento, della motivazione) nel sistema di ricompensa cerebrale, come elemento fondamentale in entrambe le forme di dipendenza. Con il passare del tempo il cervello sembra adattarsi ai livelli di dopamina sviluppati nell’interazione con i device e quando il bambino o l’adolescente smette di essere impegnato in attività digitali tali da consentirgli di raggiungerli, mostra sintomi di astinenza come ansia, insonnia, intensa irritabilità; diventa scontroso, irascibile, aggressivo isolandosi e chiudendosi nella propria stanza davanti ad uno schermo.
3Griffiths M. (2013). Social networking addiction: emerging themes and issues. Journal of addiction research & therapy
Nel corso del tempo molte altre ricerche sono giunte a confermare la funzione della dopamina nella sensazione di piacere durante l’utilizzo del telefonino, come meccanismo di ricompensa che influenza vari aspetti della vita quotidiana, dall’identità all’autostima, dalla socializzazione all’apprendimento, soprattutto durante l’adolescenza, quando la corteccia prefrontale non è ancora del tutto sviluppata, creando un circolo di gratificazione che rinforza il comportamento di dipendenza.
Le tecnologie di neuroimaging hanno giocato un ruolo cruciale nel confermare i cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello causati dall’uso cronico degli smartphone, che includono un’iperconnessione tra regioni cerebrali coinvolte nell’attenzione e nell’autocontrollo, influenzando la capacità di concentrazione e di regolazione nell’utilizzo dei dispositivi. L’uso eccessivo di smartphone è stato anche associato ad un aumento dell’ansia e dello stress, determinati dalla costante esposizione alle notifiche che attiva la risposta del cervello e dalla presenza di un vero e proprio “effetto like” che attiva il sistema di ricompensa cerebrale creando una gratificazione simile a quella ottenuta con in gioco d’azzardo.
La disconnessione dal corpo fisico e l’iperconnessione all’identità virtuale possono portare a un’esperienza distorta del Sé e a problemi di salute mentale e fisica, in una fase evolutiva caratterizzata dalla continua revisione dell’immagine corporea, cui si aggiunge oggi la necessità di fronteggiare nuove forme di disagio legate alla pressione sociale online e alla ricerca costante di conferma e riconoscimento attraverso i social.
Infine problemi come obesità, isolamento (hikikomori), cutting (forma di autolesionismo tramite tagli o ferite sulla pelle) Blue Whale (fenomeno online di incoraggiamento a svolgere compiti pericolosi e autolesionistici per un periodo definito) sono solo alcune delle manifestazioni più estreme di un disagio che evidenzia la necessità di integrare la dimensione virtuale con quella concreta del corpo e delle relazioni interpersonali.
Allora che fare?
Una delle ragioni per cui la tecnologia estende i suoi effetti dannosi sul processo di sviluppo di bambini e adolescenti riporta là dove siamo partiti: gli smartphone e i device escludono tutto il resto, non consentono ai ragazzi di fare esperienze, attività fisiche, esplorare il mondo e stringere relazioni offline. Di fronte a un fenomeno così inarrestabile e delicato, l’obiettivo non dovrebbe essere l’eliminazione, cosa peraltro impossibile da realizzare in una società come la nostra iperconnessa, ma creare spazi e opportunità affinché bambini e adolescenti possano restare ancorati al mondo reale, fare esperienze con il corpo, trovarsi a vivere in una dimensione collettiva.
Tra le cose che possiamo fare come genitori e come adulti per ridurre il rischio e gli esiti nefasti derivanti dall’utilizzo di smartphone e device, certamente c’è la costruzione di spazi di condivisione di esperienze reali con i coetanei e con gli altri, prima di tutto a scuola dove trascorrono la maggior parte del tempo, che possa rispondere al bisogno impellente per gli adolescenti di esistere nella relazione, essere pensati e visti, avere un posto nella mente dei pari, fare esperienza del mondo al di fuori delle mura domestiche.
Ma anche interessarsi alla vita e alle relazioni virtuali dei figli, mantenendo uno sguardo attento e partecipe, aiuta la costruzione di un senso di fiducia in sé e negli altri e accompagna ad un utilizzo maggiormente consapevole – o meglio meno inconsapevole della tecnologia: essere presenti nella vita online come lo siamo stati o lo saremmo nella vita offline.
E se il futuro di bambini e adolescenti è inevitabilmente legato all’utilizzo costante della tecnologia in una società dove gli spazi per pensare l’altro sono sempre più ristretti, questo non significa che non ci siano dei margini di possibile cambiamento anche collettivo per ripristinare e garantire quella dimensione di esperienza, esplorazione, vita relazionale all’interno di una comunità, che non sia virtuale.
Possiamo allora vedere i divieti e le azioni di protezione dei minori a scuola, come quelle francesi o americane, non come “originali” iniziative di solitari educatori che tentano coraggiosamente, ma altrettanto ingenuamente, di lanciarsi contro un sistema di nuove tecnologie che, come già avvenuto con Internet, una volta messe sul mercato sono inarrestabili e portano ad una trasformazione irreversibile, ma come una risposta alla necessità di contrastare l’effetto dilagante di un prodotto progettato per attirare utenti, per renderli sempre più dipendenti, a prescindere dall’età, dalla consapevolezza, dalla possibilità di difendersi o di poter scegliere di farne a meno.
Prendendo a prestito il monito di Haidt:”All’inizio degli anni dieci non sapevamo cosa stavamo facendo. Ora lo sappiamo. È il momento di agire”.