Nella foto, a sinistra, Mauro Brutto. Il “Muro della Legalità” nel quartiere Ortica, a Milano, raffigura anche Emilio Alessandrini, Walter Tobagi, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli, Tina Anselmi e Lea Garofalo.
Una storia quasi del tutto dimenticata quella del giornalista de l’Unità, che per primo aprì una nuova pista di indagini sulla morte dei due ragazzi del Centro Sociale Leoncavallo di Milano
di Daniele De Luca | Giornalista
Nel maggio del 2017 a Milano, nel quartiere Ortica, viene inaugurato il Muro della Legalità, un progetto di street-art dedicato ai caduti in nome della legalità. Se passate in via Rosso di San Secondo troverete anche il volto di Mauro Brutto, la cui morte resta uno dei tanti, troppi misteri legati all’assassinio di Fausto e Iaio.
Ci sono nomi del giornalismo d’inchiesta italiano che sono rimasti nella storia che tutti (o quasi) conoscono: Walter Tobagi, Ilaria Alpi, Peppino Impastato per citarne solo alcuni. Altri, invece, che sono finiti nell’oblio. Dimenticati tanto più se il fatto stesso che siano stati uccisi, e che quindi di omicidio volontario si tratti, viene messo in dubbio.
Per la legge italiana Mauro Brutto, giornalista poco più che trentenne de L’Unità, è morto per un incidente stradale. Ma i fatti raccontano un’altra storia.
Andiamo con ordine. Siamo nella primavera del 1978, Aldo Moro è stato appena rapito, è il 18 marzo. Sono circa le 19.45. Due ragazzi di 18 anni ,Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, sono appena usciti dal Centro Sociale Leoncavallo, camminano in via Mancinelli, vengono affrontati da tre persone. I tre sconosciuti aprono il fuoco sui ragazzi: Iannucci muore subito, Tinelli agonizza fino all’arrivo in ospedale dove viene dichiarato morto,
Chi è stato? Ad oggi, non lo sa nessuno. Nessuna condanna, nessun indagato, il caso è stato archiviato nel 2000. È uno dei tanti, troppi misteri italiani. Per molti aspetti però ancora più oscuro e impenetrabile.
Mauro Brutto, cronista del quotidiano l’Unità, è uno dei primi colleghi a raggiungere via Mancinelli. Brutto segue “la nera”, sa districarsi in Questura, conosce i metodi investigativi nei casi di omicidio, segue da tempo le vicende legate alle cosche mafiose che operano su Milano e al loro collegamento con l’estrema destra milanese. Il giro delle armi, il giro della droga, Ascolta con attenzione le parole del capo di Gabinetto della Questura di Milano, Ermanno Bessone, che parla subito di regolamento di conti nel giro dello spaccio di eroina.
Mauro Brutto però capisce subito che chi ha sparato non è un malavitoso qualunque, chi ha sparato è un professionista. Iannucci è stato raggiunto da due colpi alla gola, sparati dal basso verso l’alto, come se il killer avesse estratto la pistola improvvisamente, mentre era a lui vicino. Sul corpo di Tinelli sono stati contati sette fori di entrata: due al torace, uno nella regione ascellare destra, uno all’inguine dalla parte destra, uno al braccio destro, uno al gluteo destro e l’ultimo al fianco destro. È evidente che ha continuato a sparare al giovane anche dopo che era caduto a terra. Che arma hanno usato? A terra non vengono trovati bossoli, e questo sembra subito strano. Alcuni inquirenti fanno circolare la voce che è una calibro 32 a uccidere Fausto e Iaio. Mauro Brutto smonta il tentativo di deviare l’indagine verso altre piste. I killer hanno usato pistole automatiche avvolte in sacchetti di plastica. Ecco perché sul luogo dell’omicidio non sono stati trovati i bossoli e i testimoni hanno sentito colpi ovattati. Un particolare che conferma il loro livello di professionalità: gli assassini non intendevano rinunciare al vantaggio della rapidità di tiro fornita da una pistola automatica senza però correre il rischio di disperdere i bossoli e lasciare quindi una traccia.
Gli unici reperti disponibili sono una pistola calibro 9 trovata in piazza Durante, un berretto intriso di sangue lasciato in via Mancinelli (distrutto nel 1988 dall’ufficio Corpi Reato di Milano) e soprattutto un proiettile schiacciato trovato accanto al corpo di Tinelli che la polizia dice essere un calibro 38. Un’esecuzione spietata, velocissima, precisa.
Mauro Brutto mette in fila gli elementi, le cose che non tornano.
Mauro Brutto si pone da subito una domanda: che cosa è accaduto negli ultimi dieci minuti di vita di Fausto e Lorenzo? Il giornalista viene a sapere che i due ragazzi stavano scrivendo un dossier sullo spaccio di droga nel quartiere e sui contatti tra malavita e neofascisti della zona.
Mentre la famiglia lo sta seppellendo a Trento, qualcuno entra nell’appartamento di Fausto e ruba alcuni nastri, registrazioni raccolte dal ragazzo per la sua inchiesta. Perché? Brutto si convince sempre di più che c’è qualcosa di molto strano in questo duplice omicidio, conosce gli ambienti della mala, ipotizza un coinvolgimento di ‘pezzi dello Stato’.
Il 15 novembre 1978 Brutto si trova in via Arquà, vicino al Leoncavallo, è nella sua Citroen rossa e aspetta qualcuno, forse una sua ‘fonte’. Gli si affianca un’auto con più persone a bordo, uno dei passeggeri tira fuori una pistola e spara in aria davanti a lui. Un avvertimento?
Dieci sere dopo, il 25 novembre, Brutto esce dalla redazione del giornale in viale Fulvio Testi, decide di fermarsi in un bar di via Mura, una strada a doppio senso di marcia. Esce dal bar, supera la prima metà della carreggiata, si ferma sulla linea di mezzeria per far passare una Fiat 127 rossa, direzione centro città.
Dalla parte opposta arriva, ad almeno 70 km orari, una Simca 1100 bianca che lo investe in pieno. Mauro Brutto muore sul colpo. Nessuno riesce a prendere la targa della Simca. Il guidatore, descritto come ‘basso e robusto’ scende dall’auto si avvicina al corpo del giornalista pochi istanti poi scappa in macchina, La Simca, e tantomeno il suo guidatore, non vennero mai trovati. Un incidente stradale, dicono, nessuna indagine ulteriore.
Eppure i primi testimoni accorsi sul luogo dell’investimento parlano di un borsello a terra. Quel borsello sparisce. Verrà ritrovato giorni dopo, vuoto , nei giardini pubblici di via Populonia. In quel borsello c’erano tutti gli appunti di Mauro Brutto, nomi e riferimenti sulla vicenda Fausto e Iaio. Tutto sparito.
Suo fratello Dario dice, durante una intervista del 1996 da Danilo De Biasio di RadioPopolare: “Io non so cosa contenesse quel borsello. Senza dubbio conteneva dei documenti molto importanti, tant’è vero che mio fratello, prima di essere ucciso, si recò al nucleo di polizia giudiziaria dei carabinieri, presso il tribunale di Milano, chiedendo del colonnello Girolamo Cucchetti, per lasciargli questo dossier. In sostanza, lui era stato fatto segno a un attentato in via Arquà, non si sentiva più al sicuro, voleva consegnare ai magistrati il suo dossier”.
Ma non fece in tempo.