di Rossella Pesenti
Ecco, dunque, sopra di che è fondato il diritto del Sovrano di punire i delitti: la necessità di difendere il Deposito della salute pubblica dalle usurpazioni particolari; e tanto più giuste sono le pene, quanto più sacra, ed inviolabile è la sicurezza, e maggiore la libertà, che il Sovrano conserva ai sudditi.
Dei delitti e delle pene, Cesare Beccaria
La questione del trattamento dei minori all’interno del sistema penitenziario è di estrema importanza e solleva numerose questioni etiche e legali. Il valore rieducativo della pena per i minorenni non può essere sottovalutato.
Come sostiene Foucault (1975), il sistema penitenziario dovrebbe avere come obiettivo principale la rieducazione e la riabilitazione dei detenuti, piuttosto che la mera punizione. Questo concetto è stato ulteriormente sviluppato da criminologi come Garland (2001), il quale sottolinea l’importanza di un approccio umanistico alla giustizia penale, specialmente quando si tratta di minori.
Studi empirici hanno dimostrato che l’approccio rieducativo alla pena può essere estremamente efficace nel ridurre la recidiva tra i giovani detenuti. Secondo una ricerca condotta da Lipsey e Cullen (2007), i programmi di trattamento rieducativo possono ridurre il tasso di recidiva tra i giovani delinquenti di oltre il 10%.
Mentre è fondamentale che i giovani comprendano la gravità delle loro azioni, è altrettanto importante offrire loro la possibilità di riparare e di reintegrarsi positivamente nella società.
Il concetto di “riparazione” nel contesto della giustizia minorile è stato introdotto principalmente da Nils Christie, un sociologo norvegese. Nel suo lavoro del 1977 intitolato “Conflicts as Property“, Christie sosteneva che il sistema giudiziario dovrebbe concentrarsi sulla riparazione del danno causato dal reato, anziché semplicemente punire il colpevole. Nel contesto dei ragazzi coinvolti in reati minorili, l’approccio basato sulla riparazione si traduce in un focus sul ripristino della relazione tra il giovane autore del reato e la vittima, così come sulla riparazione del danno causato alla vittima e alla comunità.
L’obiettivo principale è quello di responsabilizzare il giovane autore del reato, incoraggiandolo a riconoscere e a assumersi la responsabilità delle sue azioni, e di favorire la sua reintegrazione nella comunità attraverso azioni concrete di riparazione del danno. Le pratiche di riparazione possono assumere diverse forme, ma ciò che conta è che queste pratiche siano progettate in modo da essere significative sia per la vittima che per il giovane autore del reato, e che favoriscano la responsabilizzazione e la crescita personale del giovane.
In questo modo, l’approccio basato sulla riparazione mira a promuovere la responsabilità, il ripristino delle relazioni danneggiate e la reintegrazione sociale dei giovani autori di reato, riducendo allo stesso tempo la possibilità di recidiva e contribuendo a costruire comunità più sicure e solidali.
Anche se non tutte le situazioni permettono di applicare direttamente le pratiche di riparazione, i principi sottostanti influenzano comunque gli iter di giustizia minorile.
In molti casi, il concetto di riparazione si traduce in un focus sull’individualizzazione delle misure, che tiene conto delle specifiche esigenze e circostanze del giovane autore del reato. Questo approccio mira a sviluppare piani di intervento personalizzati che tengano conto delle capacità, delle risorse e delle necessità del giovane, con l’obiettivo di favorire la sua responsabilizzazione e il suo sviluppo positivo.
Inoltre, l’approccio basato sulla riparazione ha influenzato la progettazione e l’implementazione di programmi di reinserimento sociale per i giovani autori di reato. Questi programmi sono spesso progettati per favorire il coinvolgimento attivo dei giovani nel processo di cambiamento, offrendo loro supporto, orientamento e opportunità di crescita personale e professionale.
In definitiva, anche quando non si applica direttamente la metodologia tipica della riparazione, il concetto ha influenzato in modo significativo l’approccio alla giustizia minorile da parte degli operatori, promuovendo un focus sulla responsabilizzazione, sulla partecipazione delle vittime e sullo sviluppo positivo dei giovani autori di reato.
Il Decreto Caivano, che ha introdotto importanti modifiche al sistema penitenziario minorile, ha posto l’accento sulla rieducazione e sulla riabilitazione dei giovani detenuti, anziché semplicemente sulla punizione, pur avendo al contempo inserito un inasprimento delle pene e un maggior numero di reati a cui segue arresto e detenzione.
I fatti del Beccaria di Milano
Tuttavia, i recenti eventi accaduti al Beccaria di Milano hanno sollevato seri dubbi sul trattamento riservato ai minori detenuti. Le segnalazioni di violenze e abusi da parte del personale carcerario sono estremamente preoccupanti e mettono in discussione l’efficacia e l’umanità del sistema penitenziario minorile.
È fondamentale che i minori detenuti siano trattati con rispetto e dignità, e che i loro diritti umani siano protetti. Questo significa garantire che siano al sicuro da qualsiasi forma di violenza, abuso o trascuratezza, e che abbiano accesso a programmi educativi, servizi sanitari e supporto psicologico adeguati.
Le segnalazioni di abusi e violenze da parte del personale carcerario hanno portato a un’inchiesta per il reato di tortura. Il reato di tortura è gravissimo e implica l’uso intenzionale di violenza o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti nei confronti di una persona privata della libertà personale. Nel caso dei minori detenuti, la protezione da qualsiasi forma di abuso o violenza dovrebbe essere ancora più prioritaria, data la loro vulnerabilità e il loro particolare bisogno di protezione e sostegno.
La tortura e qualsiasi forma di trattamento degradante sono chiaramente contrarie ai principi sanciti dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, nonché alla legge nazionale e internazionale. Ogni bambino e adolescente ha il diritto di essere trattato con rispetto per la propria dignità e integrità personale, indipendentemente dalle circostanze in cui si trova.
Per prevenire e contrastare il reato di tortura e qualsiasi forma di abuso all’interno delle istituzioni penitenziarie minorili, è fondamentale garantire una rigorosa supervisione e monitoraggio delle condizioni di detenzione, nonché la formazione del personale sul rispetto dei diritti umani e sui principi di trattamento corretto dei minori detenuti.
Inoltre, è necessario che vi siano meccanismi efficaci di segnalazione e indagine per affrontare tempestivamente eventuali casi di abuso o violenza, assicurando che i responsabili vengano identificati, puniti e che vengano adottate misure per prevenire che simili episodi si ripetano in futuro. Nel 2023 il Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, nel 13° rapporto di aggiornamento ha segnalato quanto le norme introdotte dalla riforma dell’ottobre 2018 siano state applicate soltanto in parte.
Le aperture previste al territorio (ad esempio la possibilità di frequentare istituti scolastici esterni) non sono state omogenee sul territorio nazionale, come neanche l’adeguamento degli spazi per le visite. Inoltre, la gestione del disagio psicologico trova la sua risposta nell’uso, spesso smodato, di farmaci. Il Rapporto sottolinea come sia scarsamente attenzionata la fase del reinserimento, andando quindi ad incidere fortemente sui tassi di recidiva; ma il rapporto segnala anche la difficoltà nello stare all’interno degli IPM. A farne le spese, spesso, i minori stranieri non accompagnati, vittime più e più volte, anche di un sistema che non solo non riesce a rispondere ai loro bisogni, ma che li espone a vittimizzazione secondaria.
Il rispetto dei diritti umani e la protezione della dignità dei minori detenuti devono essere considerati fondamentali in ogni contesto di detenzione, e il reato di tortura non può essere tollerato in nessuna circostanza.