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Nathan, il care leaver che racconta le sue fragilità

Mar 18, 2024 | In evidenza, Progetti

“Le difficoltà della vita sono come l’Everest, ma tutti possono raggiungere la vetta”

Nathan, 18 anni, entra a far parte della sperimentazione Care Leavers da ottobre 2023. Insieme al suo Tutor, Massimiliano Parenti, decide di raccontarsi e di mettere a nudo le sue emozioni e le sue fragilità, sotto forma di un tema che, a pochi mesi dalla Maturità, ha sentito la necessità di scrivere e di cui riportiamo alcuni estratti.

Nathan è un ragazzo in gamba, vive insieme ad altri ragazzi con esperienze simili in un alloggio di semiautonomia vicino a Crema, dopo gli anni in comunità e l’arrivo della maggiore età. Qui, con il supporto di educatori e del Tutor del nuovo progetto, sta cercando di costruirsi una vita autonoma conciliando l’ultimo anno di istituto alberghiero con un saltuario lavoro come aiuto cuoco in un ristorante nei weekend.

Nathan, 18 anni, ha aderito al progetto Care Leavers

Ci racconta le difficoltà della propria vita, iniziate nel 2020 quando lui stesso, insieme alla madre, ha chiesto aiuto agli assistenti sociali insieme per difficoltà economiche e un padre assente per motivi legati alla giustizia.

Si è ritrovato così catapultato in un mondo nuovo, la “Comunità”, fatta di educatori, regole, altri ragazzi e situazioni difficili. È stato difficile ambientarsi e vivere insieme alle proprie fragilità, salvo poi “farne tesoro” e superarle, passo dopo passo, come in una scalata.

È lui stesso, attraverso una propria testimonianza che riportiamo qui di seguito quasi per intero, a volerci raccontarci questo mondo interiore.

Il racconto di Nathan

Immaginate di essere ai piedi dell’immenso Everest. Stando all’iniziale prospettiva, ovviamente, appare immenso, una meta impossibile. Come può una persona che non ha mai praticato questo genere di attività riuscire in un’impresa simile?

Quando si nasce, è come se fossimo delle scatole vuote che a lungo andare vengono riempite, di solito le competenze base ce le hanno i nostri genitori o chi ne fa le veci. Una volta che tutte le informazioni base vengono apprese tocca a noi, o meglio, il mondo inizia a mostrarci le sue meraviglie e anche alcuni dei suoi lati bui.

Siamo però noi gli artefici delle nostre decisioni, quindi sappiamo da cosa stare lontani, cosa ci fa arrabbiare, cosa possiamo e non possiamo fare, quindi si può dire che siamo al sicuro. Bè, non è così, sostengo, perché alle volte, nella vita, nascono delle impurità, come se fossero dei “brufoli”: nessuno li vorrebbe e non sono una grande minaccia, possono essere nascosti dal trucco senza particolari conseguenze. Ma se parliamo invece di una fragilità, possiamo dire che non è difficile nasconderle ma invece hanno delle conseguenze spaventose, possono andare contro il proprio volere e contro la propria personalità.

20 Aprile 2020… a leggere ora questa data mi viene da sorridere, ma ai tempi non c’era molto di cui essere felici; mi ricordo ancora quella mattina, pioveva e mia mamma accompagnava le gocce piovane con le sue lacrime, con noi c’era anche l’assistente sociale, che teneva indifferenza per non creare ulteriore disagio. In quel momento non avevo realizzato quello che stava succedendo. Poi, nel silenzio, udii una parola: “Ciao”. Semplice eppure distruttivo, come un proiettile sparato nella nebbia, eccolo lì, il coordinatore della Comunità. In quell’istante capii tutto, mi unii alla pioggia con le lacrime di mia madre.

L’abbandono… ecco la fragilità che posseggo, una fragilità che ne racchiude tante altre. Mi chiamo Nathan, a scuola tutti sembra mi odino ma non so perché. Non vorrei andare alla scuola elementare, perché tutti mi prendono in giro. Quando sono a disagio mi mangerò le unghie, come fa la mamma. Ma oggi, piccolo Nathan, ho diciotto anni, nonostante ora io piaccia alla gente mi mangio ancora le unghie quando ho qualche ansia. Una fragilità è un passo, noi poi decidiamo se farlo in avanti o in indietro.

Ieri avrei detto: “Ciao sono Nathan, la vita è troppo difficile, fa schifo, è troppo violenta, sono pieno di problemi e non mi piace parlarne, sono fatti miei”. No! Stupido, oggi alla vita mi presento così: “Il mio nome è Nathan, sono felice, ho esposto le mie fragilità e le ho usate come appigli, ogni fragilità è anche stata un passo, un passo verso la cima dell’Everest. Ora mi fanno male le mani, mi lacrimano gli occhi, ma piango perché finalmente vedo la vetta”.

Dunque la risposta alla domanda iniziale è no, non si può scalare l’Everest senza esperienza, prima bisogna raggiungere vette più piccole. Le fragilità sono le vostre e dovete metterle sotto i piedi per usarle come scalini. Tutti hanno il diritto e il potere di raggiungere la vetta dell’Everest.

Il progetto Care Leavers

Dall’aprile del 2023, compiuti i 18 anni, Nathan si è trasferito insieme ad altri tre ragazzi in un alloggio di semiautonomia. Ci racconta delle difficoltà della convivenza, legate all’autogestione della casa e alla pulizia, essendo lui “molto rigido e maniacale nella cura degli spazi”. E la gestione in autonomia delle spese, che per un ragazzo di 18 anni significa “accorciare” i tempi dell’adolescenza per proiettarsi nel mondo degli adulti.

È anche per questo che dall’ottobre 2023 entra a far parte del progetto Care Leavers, supportato da un tutor. Si tratta di un progetto su scala nazionale che prevede il tutoraggio per l’autonomia a ragazzi e ragazze tra i 18 e i 21 anni provenienti da contesti di fragilità sociale, costretti a vivere senza il supporto della famiglia. Tra gli obiettivi principali del progetto il raggiungimento del diploma e l’educazione finanziaria. Ma insieme al tutor vengono svolti anche colloqui settimanali di supporto emotivo e di orientamento, oltre a fluide chiacchierate informali, in cui si condividono testi di filosofia, consigli su libri da leggere o film da guardare, un territorio comune di interesse reciproco scoperto nel corso del rapporto che si sta creando.

Grazie al progetto ha anche conosciuto altre persone che, come lui, fanno parte della sperimentazione. Si tratta delle Youth Conference, momenti di conoscenza e confronto con i beneficiari del progetto, che per lui è stata “una buona occasione per avere gente di altre comunità, vedere come hanno vissuto e capire se senza alcuni pezzi del puzzle hanno fatto cose diverse, in meno o in più. È stato molto bello anche confrontarsi con ragazze che hanno esperienze simili, visto che in comunità avevo solo l’esempio dei ragazzi”.

Ad oggi il tutoraggio procede con l’instaurazione di un buon rapporto, trasparente e onesto. Insieme, si guarda sempre al futuro. Anche quello remoto.  Sogno nel cassetto? Sorride, è un po’ che non gli facevano questa domanda. “Diventare qualcuno di importante, non è ancora chiaro. Un giorno mi piacerebbe andare in Giappone”.

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