di Giovanni Marco Celìa
Oggi è una giornata speciale, ci ricordano gli uffici marketing: la giornata degli innamorati. A suon di prenotazioni in ristoranti stellati e di scintillanti scatole di latta ripiene di cioccolato, di mazzi di fiori e aforismi in carta stagnola, avvertiamo la pressione alla performance della celebrazione dell’Amore. Il rischio è quello di svuotare di significato il nostro legame con l’Altro e ridurre la relazione a una prestazione occasionale, con tutti i contro del caso. Dobbiamo pensare all’Amore in maniera diversa, per contrastare questa tendenza alla riduzione, per estendere la nostra visione di un sentimento così importante.
Partiamo dall’inizio. La festività, istituita nel 496 d.C. in onore del martire Valentino di Terni, sostituisce la festa romana dei Lupercalia, dedicata alla purificazione, in onore del dio Fauno nella sua accezione di Luperco, protettore del bestiame ovino e caprino. L’origine della festa pare fosse legata alle celebrazioni della fertilità, prevedendo festeggiamenti sfrenati, sfilate di giovani nudi e frustate alle matrone romane, sopportate grazie alla vista dei corpi dei giovani.
Il papa Gelasio I trasformò quindi la festa rendendola più consona ai costumi cristiani; fu però Chaucer, alla fine del Trecento, ad ammantare di romanticismo la festa, dedicando a Riccardo II e Anna di Boemia, per le nozze, il poema The Parliament of Fowls, (Il Parlamento degli Uccelli), in cui si associa Cupido a San Valentino.
Amore e morte, tra violenze domestiche e femminicidi
Come spesso accade, un’origine che di romantico ha molto poco: e dunque, cos’è l’amore? C’è grande confusione quando parliamo di amore, soprattutto negli ultimi tempi. Sempre più di frequente riceviamo notizie che non sembrano raccontare quello che pensiamo di conoscere e che almeno una volta all’anno celebriamo come ideale maiuscolo delle relazioni. Aumentano femminicidi e violenze domestiche, atti di distruzione agiti nella cornice dei vincoli affettivi e circondati dal fantasma (dall’alibi) dell’amore.
Sempre più spesso leggiamo di vite che scelgono di lasciarci perché l’amore per sé non basta o non è abbastanza forte, quando nessun altro sceglie di amarle.
I social media sono perfusi di un sentimento che ha a che fare con l’amore per il solo fatto di essere uno dei suoi contrari: l’odio che si scatena dalle tastiere e si scaglia senza filtro contro un obiettivo, con conseguenze anche irreparabili. Parafrasando la celebre opera di García Marquez, si potrebbe dire «amore al tempo della collera».
L’amore, una creatura che ti prende l’anima
Sembra allora più che mai opportuno porsi la domanda fondamentale – che cos’è l’Amore? Lo abbiamo chiesto a una ragazza di 14 anni, che dice di non conoscere l’amore romantico, di doverlo ancora scoprire. “L’amore è uno dei temi che non passa mai di moda, perché essendo una di quelle creature rare e introvabili, tutti si sentono in dovere di aiutare il prossimo a trovarlo cantando e raccontando le loro esperienze e le loro opinioni a riguardo. Alcuni lo confondono: l’amore è una creatura che si mimetizza bene, l’ossessione, l’attrazione e l’amicizia hanno dei manti molto simili a esso. Alcune persone dopo poco si stancano di cercare e constatano che non esiste, convincendosi che loro non lo troveranno mai. L’amore in sostanza, anche se non posso esserne certa, è una creatura che ti prende l’anima, la mente e il corpo, che ti dà sensazioni sempre nuove, forti, che potrebbero smuovere montagne, ancora più potenti della rabbia, che non sono fatte per i deboli di cuore. L’amore è sognato e cercato da tutti, perché la possibilità di poter guardare con occhi diversi il mondo è bramata da chiunque. In pochi lo hanno mai visto e ti accorgi dai loro occhi se lo hanno fatto, perché sono sempre pieni di speranza.”
Dunque l’amore non è ossessione, non è amicizia, non è attrazione. Ma qualcosa che ti permette di guardare il mondo con occhi diversi, occhi che si riempiono di speranza verso la vita, occhi che vedono l’altro, occhi che vedono il mondo.
La dimensione sociale dell’amore
Ma allora, di nuovo, che cos’è l’amore? È evidente che siamo alle prese con un sentimento fondamentale che non si esaurisce nelle sue manifestazioni particolari, nelle azioni attraverso le quali lo esprimiamo, ma ha una importante dimensione sociale.
Le stesse definizioni che diamo sono frutto di una costante interazione e negoziazione tra significati che derivano dall’esperienza di sé, dal vissuto familiare e dalle relazioni con la società ai diversi livelli. Un circuito che troppo spesso va in corto. Già Simmel sosteneva che l’Amore fosse il sentimento che permette l’instaurarsi della relazione minima, perché consente il superamento della distanza tra due soggetti distinti posti l’uno di fronte all’altro. Uno spunto importante per chi lavora nel sociale: quando parliamo di Amore non possiamo esimerci dal fare i conti con il mondo oltre noi e con lo sguardo che rivolgiamo agli altri.
Per chi, come chi scrive, si occupa di accoglienza dei migranti, è fondamentale impegnare quella distanza tra noi e loro, gridata troppo lontano dalla visione dell’Amore come sentimento motore delle relazioni e delle scelte che coinvolgono l’Altro.
Accoglienza diventa così un modo di declinare questa forza primordiale, presa in carico l’espressione della direzione che possiamo imprimerle con il nostro lavoro. Conosciamo altri modi di volgere questo sguardo: l’amore romantico che parte dal desiderio di annullare la distanza e genera progetti; l’amore familiare che si esprime nella cura e genera patrimonio; l’amicizia, amore diffuso che genera società; l’amor proprio, che muove il rapporto con sé stessi e si fonda sul riconoscimento del proprio valore, anche (soprattutto?) da parte degli altri; immaginiamo anche un amore sociale che genera civiltà?
In ognuno di questi casi, l’amore come presupposto della relazione è libero da qualsiasi contrapposizione tra egoismo e altruismo, nonché da ogni riduzione all’istinto o alla pulsione: è pura emozione, qualcosa che muove e alimenta le relazioni al di là di un obiettivo concreto.
Ma allora è forse l’amore che ci rende umani?
Gli esseri umani sono in grado di provare questo sentimento che non è solo una reazione biologica o istintuale, ma che è influenzato dalla nostra capacità di pensare e connetterci emotivamente con gli altri. Attraverso l’amore sperimentiamo empatia, compassione e altruismo, superiamo noi stessi per il bene degli altri. Nel suo libro “Così parlò Zarathustra”, Nietzsche presenta il concetto di “amore al di là del bene e del male”, suggerendo che l’amore vero e autentico può esistere al di fuori delle convenzioni morali e sociali tradizionali. Egli critica l’idealizzazione dell’amore romantico come una forma di schiavitù e insieme esplora la possibilità di un amore più libero e autentico che va oltre le restrizioni imposte dalla società.
Amore dunque come sentimento che permea la vita delle persone, e che si declina appunto in molti modi diversi. Non è prerogativa di nessuno, non esistono amori più giusti o legittimi di altri: finché generano legami positivi, reti virtuose e valore sociale, sono tutti espressione di quell’unica forza di coesione sociale.
L’amore può agire come collante sociale che unisce persone e territori, contribuendo a costruire società più inclusive, resilienti e solidali.
L’amore travisato
Un discorso che sembra lontano anni luce dal nostro quotidiano e troppo poco cinico per risultare credibile. Ci stiamo abituando all’amore che non riconosce l’Altro, che sa superare la distanza solo nell’annullamento e nel possesso; l’amore che segrega e divide, separa e allontana. In altre parole, l’amore travisato.
Interrogarci sui sentimenti e sulla dimensione sociale dell’Amore – il valore dei nostri legami, il modo di attivare questo meccanismo prezioso – è allora un esercizio fondamentale per affrontare con la giusta consapevolezza la nostra relazione con l’altro, per arginare la deriva dei sentimenti verso un orizzonte di odio e divisione oltre il quale non può esserci nulla di buono.
Se vogliamo celebrare l’Amore, non limitiamoci all’occasione che si consuma al lume di una candela, ma impegniamoci a riprodurlo nel nostro agire quotidiano, nelle scelte che facciamo, in ogni legame che creiamo.