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Se nasci povero, morirai povero. L’ascensore sociale in Italia è fermo

Giu 13, 2024 | Famiglia, Lavoro, Terza Età

Intervista con Luca Salmieri, ricercatore dell’Università La Sapienza di Roma

Abbiamo sempre pensato che in un paese sviluppato come il nostro, anzi posizionato tra le “sette economie più grandi del mondo”, a fasi economiche di stagnazione o recessive corrispondessero poi periodi di ripresa economica e di crescita generale della società. Da un decennio a questa parte vediamo invece che il meccanismo si è inceppato e che, come accade per esempio in economie più rigidamente legate alle leve del puro profitto, la povertà non è solo un fattore endemico ma una sostanziale necessità. Tutto a sta a mantenere il numero dei poveri sotto una soglia accettabile finché non diventi in qualche modo pericoloso ma soprattutto l’importante è nasconderli. Accade negli Stati Uniti dal dopoguerra ad oggi, con centinaia di migliaia di persone senza casa e con circa 28 milioni di persone privi di copertura sanitaria e che quindi faticano a curarsi (molti anzi non ci curano per nulla).

Oggi in Italia ci sono 4 milioni di persone che hanno rinunciato alle cure mediche.

Negli ultimi dieci anni il numero dei poveri assoluti è raddoppiato. Per povero assoluto si intende colui (o una famiglia) che fatica a mettere insieme pranzo e cena e che non è in grado di alcun tipo di risparmio. Al recente convegno sulle nuove povertà che abbiamo organizzato a Vigevano abbiamo chiacchierato con Luca Salmieri, PhD in Storia moderna e contemporanea, professore di Sociologia della cultura presso il corso di laurea triennale in Sociologia, Università Sapienza.

«La dinamica della povertà nel nostro Paese è profondamente cambiata nell’ultimo decennio. È cambiata la geografia delle povertà, le fasce d’età, le condizioni sociali in cui si finisce in una condizione di estremo bisogno. Eravamo abituati a pensare che il “povero” in Italia fosse soprattutto un anziano del Sud, tipicamente solo – afferma Salmieri – oggi non è più così. La fascia di età a maggior rischio di povertà è quella dei minori. Eravamo abituati a una condizione di povertà che accompagnava l’ultima parte della vita, oggi invece il problema è la riproduzione della povertà in ambito familiare. Ovvero, la trasmissibilità della povertà da una generazione all’altra. I minori che oggi sono poveri molto difficilmente usciranno da questa condizione e anche le loro future famiglie si troveranno in condizione analoga. Perché i minori che crescono in un ambiente di povertà educativa, economica e materiale sono oggi i principali potenziali trasmettitori di povertà futura. Non certo per colpa loro, ma perché alle condizioni date non si vedono possibilità di ascensione sociale.

«La condizione di povertà oggi non vede sbocchi per famiglie che vedono due stipendi bassi, con lavori poco qualificati con almeno due figli in età scolare – continua Salmieri – penso a una coppia dove lui lavora come operaio non specializzato e la moglie come cassiera in un supermercato e con due figli in obbligo scolastico. L’unica possibilità per questo tipo di famiglie è che il figlio arrivi a un alto grado di educazione. Ma la tendenza cui assistiamo va nella direzione opposta, sono sempre di più i giovani che a 20 anni cercano di entrare nel mondo del lavoro. Al tempo stesso, questa tipologia di famiglia può avere un destino molto diverso a seconda dell’area geografica in cui vive. Il problema sono i differenziali nella forchetta nel costo e nella qualità della vita nelle aree urbane o nei piccoli comuni. Nelle aree metropolitane, a causa del costo della vita, i divari con altre situazioni in Comuni più piccoli e “interni” sono impressionanti».

Luca Salmieri

Continua Salmieri: «C’è poi un altro grande problema: oggi c’è la fascia dei 45-55enni che deve sempre più farsi carico degli anziani, dei propri genitori. E sono costi altissimi sia in termini economici che in termini di tempo, di qualità della vita, di fatica quotidiana che non è supportata in alcun modo dallo stato. È solo il Terzo settore che aiuta le famiglie in questo. Questa fascia di età, che in altri paesi europei è ancora il vero motore economico e sociale, in Italia si sta sempre più impoverendo. Anche perché i “soldi dei nonni” in moltissimi casi sono già finiti e la pandemia da questo punto di vista ha dato una spallata micidiale».

C’è infine uno stigma tutto italiano legato al cosiddetto reddito di cittadinanza, «che comunque aveva permesso a quasi un milione di famiglie di uscire dalla povertà – prosegue Salmieri – in Italia, per tanti motivi spesso poco nobili, è passato il concetto che se prendi soldi dallo stato devi per forza fare qualcosa. È un paradosso, perché negli altri paesi è normale concepire un assegno di sussistenza come primo elemento per sostenere i più deboli tra i deboli e consentire un graduale miglioramento delle condizioni sociali dei più sfavoriti. Invece di analizzare come e dove migliorare quel provvedimento, cosa assolutamente giusta e necessaria, si è pensato di abolirlo del tutto senza immaginare altre soluzioni. E questo non può portare che a un graduale allargamento del bacino dei nuovi poveri perché il mercato del lavoro nel nostro paese è ancora troppo debole e precario».

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