Una serata importante a Pieve Emanuele, in occasione della Giornata della memoria e dell’accoglienza, per confrontarsi sulla realtà del sistema di accoglienza, tra opportunità e ostacoli legati a burocrazia e politiche nazionali
Il 3 ottobre è la Giornata della memoria e dell’accoglienza, anniversario della strage di Lampedusa, 368 persone affogate e almeno 20 dispersi. A Pieve Emanuele si è tenuto un dialogo sull’accoglienza al quale abbiamo partecipato portando l’esperienza dei nostri servizi sul territorio, dialogando con il sindaco Pierluigi Costanzo, l’assessora alle Politiche sociali Margherita Mazzuoccolo, Yael Susanna Raimonde Pepe, mediatrice linguistico culturale del CAS Croce Rossa Italiana, Marianna Pellegrino, docente dell’ICS Viquarterio di Pieve Emanuele, Don Mario Maggioni delle Parrocchie Maria Immacolata e Sant’Alessandro un referente del Servizio centrale del Ministero dell’Interno. Un confronto utile per analizzare i problemi dell’accoglienza oggi, condivisi da tutti i partecipanti tra i quali i nostri Stefania Campagna, coordinatrice SAI, e Michelangelo Mecca, coordinatore dei percorsi di inclusione lavorativa.
L’iniziativa, introdotta dal sindaco Costanzo e dal titolo “Senza confini”, arrivata alla terza edizione, è stata l’occasione per un confronto su opportunità e nodi dell’accoglienza, a partire dalle esperienze su un territorio accogliente che ci vede impegnati con un progetto SAI.

Dal dibattito, tra i temi affrontati, è emerso che tra gli ostacoli più grandi per una vera integrazione ci sono la burocrazia e l’assenza di volontà politica – a livello nazionale – per migliorare la situazione. Troppe persone migranti restano ferme nei CAS troppo a lungo e quando riescono ad accedere ai percorsi di seconda accoglienza (Rete SAI) nuovamente le pratiche per il permesso di soggiorno si incagliano. Senza permesso di soggiorno è impossibile avere un lavoro regolare, e senza lavoro non si può aprire un conto corrente. ll risultato? Un tempo sospeso nelle strutture, ostacolando le opportunità di integrazione.
Non è un problema solo milanese o lombardo, ma il flusso migratorio pesa molto più su alcune regioni che su altre, in Lombardia in particolare. Insomma, se accogliere è sempre più complicato, integrare è allora sempre più difficile. La gestione del fenomeno migratorio non può essere gestita al 90% dal Ministero degli Interni e dalle Questure, servirebbe forse pensare a un dicastero su misura a pratiche più snelle. Le procedure sono lente e spesso confuse. Un immigrato deve presentare documenti, attendere appuntamenti alla questura e, in molti casi, subire ritardi anche di mesi. E anche dopo aver ottenuto il permesso, i rinnovi richiedono tempo e documentazione continua (busta paga, contratto di lavoro, residenza, ecc.).
Il “Decreto Flussi” stabilisce ogni anno il numero massimo di lavoratori extracomunitari che possono entrare legalmente per lavoro. Le quote sono limitate e spesso si esauriscono in pochi giorni. Molti finiscono nel lavoro nero, perché non hanno ancora i documenti in regola o perché i datori di lavoro preferiscono non assumere regolarmente. Nelle campagne, nell’edilizia e nella ristorazione, anche in Lombardia, tanti subiscono condizioni di lavoro degradanti, paghe sotto la media e orari estenuanti. Senza un lavoro stabile o documenti, trovare un alloggio regolare è praticamente impossibile e molti proprietari rifiutano di affittare a stranieri, anche se hanno reddito e garanzie.
L’accesso ai servizi essenziali poi è un golgota, nonostante l’Italia garantisca cure sanitarie anche ai non regolari, l’accesso è complicatissimo specie per chi non conosce la lingua o il funzionamento del sistema. Senza permesso non si può lavorare, ma senza lavoro non si può rinnovare il permesso. Questo blocco spinge molti verso l’irregolarità.
Insomma, molti gli spunti di riflessione. Ma anche l’esperienza positiva sui territori accoglienti, grazie all’impegno condiviso tra amministrazioni ed enti del Terzo settore.