di Jacopo Casoni | Giornalista
Il sorriso di Allegri alla domanda del giornalista di Repubblica Emanuele Gamba che gli chiedeva di spiegare la sostituzione di Nonge a Napoli, invitandolo a replicare a chi l’aveva definita “una punizione, un gesto diseducativo”, racconta un bel pezzo della storia.
Sintetizzando, l’allenatore della Juve ha prima inserito il 18enne belga al 76’ della gara del Maradona, salvo poi farlo uscire all’89’ dopo che lo stesso giocatore era stato protagonista in negativo causando il rigore decisivo. Da qui le critiche, che l’interessato ha affrontato più dal punto di vista tattico (“mi serviva gente in grado di farsi valere sulle palle alte per l’assalto finale”) che da quello educativo appunto. Perché Allegri non è il primo che si rimangia un cambio, Capello lo fece addirittura in Coppa Uefa sostituendo un giovanissimo Ambrosini dopo mezz’ora; ma quella sostituzione pochi istanti dopo il fallo da rigore ha dato a tutti la sensazione che fosse una bacchettata sulle mani e poco altro.
Il ruolo degli allenatori nella crescita dei giovani
E allora si torna a discutere del ruolo degli allenatori, che a detta di molti hanno anche responsabilità morali nella gestione del proprio gruppo, in particolare quando si relazionano con i più giovani. Ci si aspetta da loro che accompagnino i ragazzi nella crescita, che li guidino, li tutelino e li aiutino ad affrontare i momenti delicati, quelli dell’esaltazione precoce come quelli negativi. L’equilibrio, parola abusata forse ma certamente caratteristica necessaria in campo come fuori. L’errore come un inciampo dal quale rialzarsi in fretta, come un qualcosa con il quale fare i conti, da accettare e superare, imparando. Una sostituzione a topica ancora freschissima somiglia tanto ad altro, a un castigo, a una ramanzina peraltro non dietro l’angolo o al riparo dagli sguardi altrui ma davanti a tutti, con conseguente scontato imbarazzo.
La logica vorrebbe che il ragazzo, vista la colpa e l’assoluta mancanza di dolo, fosse rincuorato in pubblico e magari rimproverato nel segreto degli spogliatoi, mettendolo al riparo da possibili ripercussioni legate a una sorta di stigma che un evento straordinario e perfino surreale come quello capitato a Napoli può portare con sé. Il sorriso di Allegri dal quale siamo partiti spiega bene quanto il calcio attuale non si preoccupi di questi dettagli che tali non sono, di questo ruolo che un allenatore dovrebbe ricoprire anche nel 2024. È un calcio di professionisti, si dice, a prescindere dall’età. Ma è anche un calcio che è tutto fuorché educativo. A partire dai protagonisti, troppo spesso sopra le righe tra falli, simulazioni, tecnici minacciosi, assalti agli arbitri, presidenti che alzano i toni; per non parlare di alcune frange di tifosi sugli spalti, becere e violente, razziste e pronte a sfogare nel calcio i peggiori istinti.
E tutto questo non solo nel pallone che conta. Le cronache raccontano sempre più spesso di risse nei campetti di provincia, nel calcio giovanile; molti ragazzini devono fare i conti con genitori che piuttosto che educarli al rispetto, alla sana competizione, all’equilibrio appunto, li fomentano esacerbando tutto senza un minimo di contegno. Una deriva che è anche sui social, troppo spesso mondo senza regole e senza educazione anche quando l’argomento è il pallone. Insomma, il tema è complesso e non si può ridurre a una sostituzione rivedibile da un punto di vista del messaggio che lancia, a Nonge e a tutti, ma certamente Allegri avrebbe potuto dare un segnale e invece si è uniformato a questo calcio sempre meno esemplare.