Ormai da qualche mese è stato rinnovato il contratto collettivo nazionale delle Cooperative sociale. L’atteso adeguamento tende a non essere recepito dalle amministrazioni pubbliche, in troppi casi restie ad adeguare le tariffe riconoscere. Ne abbiamo parlato a margine di un incontro organizzato da ANCI (nella foto qui sopra), per la Rete del Sistema accoglienza e integrazione – SAI.
Giorgio Pederiva, in possesso di diploma di laurea magistrale in relazioni internazionali, è da molti anni coordinatore di servizi alla persona, con particolare riguardo agli ambiti dell’integrazione e dell’inclusione delle persone straniere
Gli incontri territoriali sulla Rete del Sistema di Accoglienza e Integrazione – SAI, dedicati agli enti titolari di progetti, lunedì 13 maggio 2024, hanno fatto tappa in Lombardia. L’evento, organizzato da ANCI Nazionale, si è svolto a Milano, presso la sede di ANCI Lombardia. La giornata, al netto di quel tanto di autocelebrativo un po’ inevitabile in simili circostanze, ha permesso agli organizzatori di sottolineare lo sforzo che gli enti pubblici quotidianamente compiono per garantire i diritti delle persone provenienti da Paesi Terzi.
Oggi la Lombardia ospita quasi diciottomila persone nei centri di accoglienza, il 12,9% del totale nazionale, dei quali 14.781 nei centri di accoglienza governativi, 3.049 nei centri SAI. I minori stranieri non accompagnati (MSNA) sono 2639 (12,51% del totale nazionale). Dei 2.639 minori, 382 si trovano in strutture di prima accoglienza, 1.200 in strutture di seconda accoglienza, 1.194 presso enti privati provenienti principalmente dall’Ucraina. Sono 95 gli enti locali che hanno fatto richiesta al Fondo MSNA; 6 tra questi sono titolari di progetti SAI.
“Da diverso tempo – ha spiegato Camilla Orlandi, responsabile ANCI dipartimento per l’integrazione e l’accoglienza – sul tema dell’accoglienza stiamo facendo una serie di proposte in commissione immigrazione. Le richieste riguardano, in particolare, la necessità di ampliare il numero dei posti a disposizione in base alla pressione registrata, la necessità di revisione del decreto 2019 e il superamento della richiesta di adesione triennale al SAI che permetterebbe ai Comuni di poter progettare al meglio. Stiamo cercando di introdurre il tema dell’accreditamento alla rete in qualsiasi momento”. Fin qui tutto bene, quindi, tranne forse per un aspetto, ossia che a garantire concretamente e quotidianamente quei diritti di accoglienza sono i lavoratori degli enti gestori, in molti casi cooperative sociali.
L’adeguamento delle tariffe
Siamo, sul punto, intervenuti, cercando di sottolineare il fatto che, dopo tanti anni, il nostro settore ha rinnovato il proprio contratto di lavoro, ma che le quote da riconoscere alle Cooperative al momento non sono ancora state adeguate dalla rete afferente al sistema di accoglienza integrato (SAI, per l’appunto). Il paradosso ci sembra chiaro: da un lato si promuove accoglienza e integrazione, dall’altro non si riconosce il dovuto a chi gestisce il servizio. Alle Cooperative sociali, infatti, come abbiamo sottolineato al termine dell’incontro, spetterebbe il riconoscimento di tariffe in linea con il costo della vita e con i livelli contrattuali dei lavoratori. Un dovere delle amministrazioni pubbliche, almeno questo il nostro avviso, riconoscere, per tutti i contratti di servizio stipulati prima del rinnovo contrattuale, l’adeguamento tariffario collegato ai maggiori costi (e quindi anche a un rinnovo contrattuale).
Le amministrazioni pubbliche non possono chiamarsi fuori
Il rinnovo ha significato e significa, dare più soldi in busta paga ai lavoratori (educatori, mediatori, coordinatori, assistenti sociali, psicologi, etc.) e frenare, anche per questa via, l’esodo costante dalle professioni di cura, con il conseguente ed inevitabile impoverimento del patrimonio di competenze di un intero settore: ciascuno è chiamato a fare la sua parte, le amministrazioni pubbliche – che hanno affidato e affidano alla cooperazione sociale gran parte dei servizi alla persona – non possono chiamarsi fuori, limitandosi ad enunciazioni di principio o a risposte formali dal tenore troppo spesso pilatesco. Gli aumenti salariali e l’introduzione di nuove tutele mirano a riconoscere l’importante contributo dei operatori sociali, ossia dei lavoratori attivi in ambiti delicati come l’assistenza, l’inclusione di persone straniere, il supporto a persone con disabilità e ad anziani, la strutturazione di percorsi di inclusione per chi vive in condizione di fragilità sociale ed economica.
Il peso dei nuovi costi
Ma come sostenere gli aumenti salariali e le nuove tutele senza un corrispondente aumento delle tariffe riconosciute degli enti pubblici per i servizi erogati? Questo mancato adeguamento crea una pressione economica difficile da sostenere per tante tra le cooperative, mettendo a rischio la qualità dei servizi offerti e la stabilità occupazionale. Le tariffe attuali, infatti, non riflettono i nuovi costi che le cooperative sono chiamate a sostenere. Senza un adeguamento, molte cooperative potrebbero indebolirsi, con gravi ripercussioni per le comunità locali e per le persone più vulnerabili che dipendono dai servizi garantiti dalle cooperative stesse. Per affrontare efficacemente questa situazione, è cruciale che gli enti pubblici (e, in particolare, quelli aderenti alla rete SAI, che si occupa di accoglienza e integrazione) vadano oltre i semplici proclami e dimostrino un reale impegno nel sostenere il diritto al lavoro degli operatori sociali.
Diversi i passi che si potrebbero compiere. Per brevità riportiamo solo due aspetti:
- adeguamento delle tariffe: è fondamentale che le amministrazioni pubbliche rivedano le tariffe per i servizi erogati dalle cooperative sociali, allineandole ai nuovi costi derivanti dal rinnovo del CCNL. Questo passo è indispensabile per garantire la sostenibilità economica di progetti e servizi. In breve: un dovere per garantire tanti diritti;
- appalti riservati per le cooperative sociali di inserimento lavorativo: lavoriamo per accogliere, per integrare, per includere, anche attraverso l’inserimento lavorativo delle persone portatrici di svantaggio. Gli enti pubblici crediamo debbano tornare a pratiche virtuose, riservando una quota di appalti alla gestione delle cooperative sociali di tipo B, favorendo – per questa via – l’inserimento lavorativo di persone ai margini del mondo del lavoro. Riuscire a garantire un lavoro a chi è rimasto, per qualche ragione, indietro, significa risparmiare quattrini (e non farne spendere di più) alle amministrazioni pubbliche, passando da una dimensione di pura assistenza (sussidi, contributi, etc.) alla promozione di un circuito che, attraverso il lavoro, consente di rendersi autonomi e, in diversi casi, di autodeterminarsi.
Un’opportunità per tutta la comunità
Il rinnovo del CCNL delle cooperative sociali rappresenta un’opportunità per migliorare significativamente le condizioni di lavoro nel settore e la qualità dei servizi offerti alla comunità. Tuttavia, senza un adeguato supporto da parte delle amministrazioni pubbliche, questo cambiamento rischia di rimanere incompiuto. I servizi alla persona vanno retribuiti il giusto; anche in questo modo si può contribuire a costruire una società più solida ed inclusiva, in cui i servizi sociali e alla persona possano rafforzarsi e poter rispondere efficacemente ai bisogni dei cittadini.