Laura Orsenigo. Giornalista professionista, brianzola, dopo diverse esperienze in tv, riviste di settore e web, dal 2018 collabora con il Giornale di Segrate. Mamma di tre figli, impegnata nel sociale sul territorio.
È la parola dell’anno secondo la prestigiosa Oxford University Press e descrive la “marcescenza del cervello” dovuta allo scrolling infinito davanti agli schermi degli smartphone. Ma tra gli adulti sembra crescere la consapevolezza dei pericoli, anche grazie a iniziative per tutelare le capacità cognitive dei più giovani
Brain rot è la parola dell’anno, secondo la prestigiosa Oxford University Press, editrice dell’Oxford English Dictionary. Il significato letterale dell’espressione è “marcescenza del cervello”, termine coniato un secolo fa in altri contesti per indicare un disimpegno intellettuale. Ma diventata virale nell’ultimo anno per definire gli effetti dell’uso incontrollato dei social media. L’espressione indica infatti il deterioramento cerebrale di una persona come conseguenza di un uso eccessivo di materiale online banale e poco impegnativo. Il classico “scroll” dei social media, insomma, in cui si viene bombardati di informazioni, video, meme, commenti di scarsa rilevanza che invece di distrarre o divertire, affaticano il cervello e portano a un peggioramento delle capacità cognitive e di memoria.
Il termine brain rot ha avuto un’impennata nel 2023, soprattutto dalle giovani generazioni, denotando quindi una consapevolezza sull’argomento anche se il modo di dire è spesso associato a commenti ironici o iperbolici. In realtà questa sensazione di sopraffazione espressa in modo scherzoso dai ragazzi dopo una indigestione di TikTok o video su YouTube è qualcosa di molto concreto e non senza conseguenze.
Il brain rot in bambini e adolescenti
Ci sono studi sull’effetto degli smartphone e dei social network sullo sviluppo del cervello nei bambini e negli adolescenti, come ha diffusamente spiegato qui la nostra Paola Barachetti. Il brain rot che preoccupa, più che per gli adulti, è proprio quello che riguarda gli adolescenti e i bambini, iniziando da quelli piccolissimi, visto che l’età in cui ci si approccia ai dispositivi tecnologici è sempre più bassa, pervasiva e frequente. Negli Stati Uniti il 92% dei piccoli che inizia ad utilizzare i dispositivi già nel primo anno di vita e all’età di due anni li utilizza giornalmente. In Italia i dati non sono molto diversi e la Società Italiana di Pediatria ha recentemente pubblicato uno studio in cui, proprio sulla base dei risultati sugli effetti nocivi della tecnologia, raccomanda di non far usare smartphone e tablet prima dei due anni e limitarne l’uso a massimo un’ora al giorno nei bambini tra i 2 e i 5 anni.
Più consapevolezza dei rischi tra i genitori
Un tema di grande attualità, in cui, di pari passo con l’aumento degli studi e dei pareri degli esperti sul tema, si sta assistendo ad un cambio di passo e di visione anche da parte di sempre più genitori. Non si parla più di “nativi digitali” come qualcosa di inevitabile e aumentano gli interrogativi su come gestire le tecnologie in casa, dopo averne in qualche modo subito la progressiva invasione.
Le Raccomandazioni di Milano
Una dimostrazione di questo lavoro comune lo si è visto a Milano durante la Digital Week di ottobre quando è stato presentato un documento sulle “Raccomandazioni di Milano”, linee guida frutto di due anni di lavoro fra istituzioni, esperti universitari e famiglie, per promuovere la sicurezza e il benessere digitale fra i ragazzi e i bambini. Consigli proprio per evitare la “marcescenza” dei giovani cervelli e favorirne invece la fioritura.