Ciao Pepe: sobrio, coerente, autentico

Mag 14, 2025 | Attualità

Dario Colombo, Direttore de Il Melograno, nel 1999 fu tra i soci fondatori e ha svolto per molti anni il ruolo di Presidente. Laureato in Lettere moderne, si occupa della progettazione e dello sviluppo delle politiche sociali della cooperativa.


La morte di José Mujica, icona sociale del nostro tempo

Alla periferia di Montevideo, tra i solchi della terra e i resti di una vita mai traslocata, José Mujica abitava una piccola fattoria, cresciuta senza pretese, modellata dalla necessità e dal tempo. Viveva accanto a Lucía Topolansky, tra vecchie lamiere e crisantemi coltivati per mestiere, accudendo Manuela, la cagna con tre zampe, mentre il mate sobbolliva lentamente sul fornello: una decisione abitativa, una filosofia quotidiana, una coerenza senza ornamento, prima e più di uno stile o di una posa strategica.

Ricchezza d’animo e poca importanza data alle “cose”, ai beni materiali, al comandamento “ama il consumo come te stesso”, come cantava un De André poi censurato. Ogni elemento parlava: la Volkswagen Beetle del 1987 parcheggiata sotto un albero, l’orto curato come un parlamento naturale, il tempo condiviso con chi arrivava, senza cerimoniali, senza mediazioni, senza schermi. Chi varcava quel cancello incontrava una presidenza “disarmata e disarmante”, una politica disadorna, una figura autentica che viveva la carica come responsabilità non come esercizio di potere. Mujica parlava di sobrietà come strategia di libertà, di tempo restituito all’essenziale, di giustizia come capacità di sottrazione. In quel luogo senza protocolli, prendeva forma una politica vissuta, una pratica che non aveva bisogno di essere detta, una convinzione che si faceva spazio senza alzare la voce.

Dal carcere, la misura

Nel cuore degli anni Sessanta, José Mujica prende parte al Movimiento de Liberación Nacional – Tupamaros, assorbe il respiro delle rivoluzioni latinoamericane, si immerge nella militanza urbana con una convinzione costruita giorno per giorno. Prende parte a occupazioni, partecipa ad azioni clandestine, vive nella penombra politica di un’epoca che confonde ribellione e giustizia, lotta armata e orizzonte di equità. Viene ferito da sei proiettili, arrestato più volte, fugge, si nasconde, viene nuovamente catturato.

Dopo il golpe del 1973, viene trattenuto come ostaggio dallo Stato, rinchiuso con altri otto compagni in condizioni spietate, trattato come moneta di ricatto contro una possibile ripresa armata. Passa tredici anni in carcere, di cui molti in isolamento estremo, in celle interrate, in silenzio forzato. Dialoga con gli insetti, con le pietre, con il proprio pensiero che si sgrana lentamente: sperimenta la soglia della follia, la resistenza della mente, la possibilità di sopravvivere senza parola. Quando nel 1985 torna la democrazia, Mujica esce da una prigione che non gli ha spezzato il corpo, ma ha modellato la voce. Non cerca vendetta, non reclama risarcimento, non invoca purificazione: entra in politica, costruisce consenso, partecipa alla fondazione del Movimiento de Participación Popular. Comincia a parlare con misura, a pensare in profondità, a restituire senso al tempo. La sofferenza non lo ha arreso, lo ha definito; la detenzione non lo ha piegato, lo ha messo in asse; la lotta non lo ha esaurito, lo ha preparato.

Contro la civiltà dell’accumulo

José Mujica parla con lentezza, costruisce per immagini, affida al gesto quotidiano una densità politica che resiste all’enfasi. I suoi discorsi nascono dall’esperienza, si intrecciano con la pratica, trovano forma nella semplicità di chi ha attraversato la complessità senza perdere orientamento: le parole connettono una coerente visione del mondo, che parla di valori profondi e di una sorta di filosofia dell’essenzialità.

Nel 2012, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, pronuncia un intervento che riporta il politico al vivente, la diplomazia al pane, la crescita economica al tempo umano: parla del diritto alla sobrietà come principio costituente, dell’equilibrio tra bisogni e desideri come nodo culturale, della felicità come questione collettiva che riguarda il tempo, la misura, la relazione. Le sue parole non cercano scandalo, non chiedono deferenza, non costruiscono appartenenza: cercano solo ascolto, attenzione, risonanza.

Il concetto di libertà ritrova respiro e si sgancia totalmente da parametri economici. Per lui significa scegliere il ritmo della propria esistenza, riconoscere la pienezza nella misura, sottrarsi all’obbligo di desiderare. In questa idea, che attraversa economie e ideologie, si disegna una posizione radicale: vivere senza accumulare, decidere senza sprecare, transitare sulla terra senza consumarla. La politica diventa custodia del tempo, la sobrietà diventa spazio di libertà, la giustizia si misura nella qualità delle relazioni.

Compagni inattesi: Pepe, Francesco e le nozze con Paupertas

Nel cuore della sobrietà che diventa scelta, nella pienezza del poco che libera, nella quieta radicalità di chi non cerca riconoscimento, si intravede un legame profondo con un’altra figura emblematica del nostro tempo appena scomparsa, papa Francesco. Due traiettorie che si avvicinano: José Mujica e Jorge Mario Bergoglio arrivano da terre contigue, da storie aspre, da lingue diverse ma prossime. Entrambi portano sulle spalle origini popolari, un’educazione sentimentale fatta di terra, fatica, sobrietà.

Per entrambi la povertà è sempre al centro e mai è vissuta come mancanza o sacrificio; è piuttosto uno spazio di sottrazione consapevole, un modo per sottrarre la vita alla voracità del possesso, in una parola una necessità. Mujica la coltiva nella quotidianità di Rincón del Cerro, nella sua Beetle del 1987, nei suoi crisantemi venduti al mercato. Francesco la abita in una stanza a Santa Marta, portando il proprio bagaglio a mano, rinunciando a qualunque riconoscimento che la carica gli riserverebbe.

Nel 2013 si incontrano, si ascoltano, si stimano. Mujica porta un libro di Methol Ferré, pensatore comune, tessitore di legami tra pensiero e storia, tra politica e rivelazione. Francesco riceve, accoglie, restituisce uno sguardo che sa riconoscere l’autenticità senza difese. Non serve accordo, non serve alleanza, non serve comunanza dottrinale, tra il papa più laico e il primo ministro più spirituale che la storia recente ricordino.

Ieri, oggi domani: ciò che ci resta

Alcune vite generano eco, altre generano forma, altre ancora generano possibilità. La vita di José Mujica ha lasciato gesti che insegnano, scelte che interrogano, silenzi che durano. Ogni passo, ogni parola, ogni rinuncia ha contribuito a edificare una presenza politica che si trasmette per esempio, una coerenza che attraversa le istituzioni senza piegarsi, una radicalità che si misura nella mitezza. Resta una sobrietà che illumina, un tempo che si espande, un’idea di giustizia fondata sull’equilibrio tra dignità, misura e libertà. Resta una parola detta con precisione, un gesto abitato senza esibizione, una responsabilità vissuta come forma quotidiana del prendersi cura.

Quando tutto sembra cedere al calcolo, al vantaggio, all’eccesso, resta la possibilità di una politica autentica, che, senza mai scadere in derive populistiche, ascolta prima di decidere, coltiva prima di intervenire, restituisce prima di chiedere. Resta il volto di Pepe, un uomo che ha scelto di vivere tra le cose semplici, che ha trasformato il suo tempo in una lezione di eleganza necessaria, che ha mostrato come la povertà scelta possa diventare dignità condivisa.

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