Occupati ma poveri, il paradosso del lavoro che non emancipa più

Apr 30, 2025 | Attualità

Essere poveri pur lavorando è possibile. E non fa nemmeno più notizia. Lo confermano gli ultimi dati Eurostat, resi noti un po’ beffardamente a cavallo tra il 25 Aprile e il Primo Maggio proprio mentre si celebrano la Liberazione e il suo frutto primario, quella Costituzione che all’Articolo 1 pone il lavoro come fondamento della Repubblica. Un lavoro che, allontanatosi da quel solco ben tracciato, è accompagnato sempre più spesso da un aggettivo (povero, appunto) che ha soppiantato nel linguaggio e nel dibattito – senza usare perifrasi di convenienza o ipocrisie linguistiche, almeno questo – la più antica, novecentesca, “disoccupazione”. Che cala, si flette come una fisarmonica con le note stonate della precarietà per fare posto a un’altra condizione che ha il sapore del paradosso, dell’ossimoro.

Poveri lavorando, sempre di più. C’è un lavoratore su dieci in questa condizione, secondo i dati europei che piazzano l’Italia agli ultimissimi posti, tanto per cambiare. E c’è poco da festeggiare o da celebrare il Primo Maggio, in un contesto nel quale l’inflazione corre e gli stipendi non solo non stanno al passo ma arretrano assieme ai diritti. Perché se il lavoro non è più la soluzione alla povertà, se il lavoro non emancipa più, allora è un problema. E non ci si può abituare.

L’oratore dello sciopero di Emilio Longoni (1891)

A essere più colpiti dalla povertà lavorativa in Italia sono soprattutto i lavoratori indipendenti (17,2%) – alla faccia della narrazione su freelance e “nomadismo digitale” – e le persone con la sola scuola dell’obbligo come titolo di studio (18,2%). Ma sono in aumento anche i dati relativi ai lavoratori (poveri) dipendenti, anche con contratto a tempo pieno, passati dall’8,7% al 9%.

Se ci sono settori dove il fenomeno è particolarmente diffuso, come edilizia, commercio e agricoltura, il tema del lavoro povero è però anche conseguenza all’inadeguatezza dei CCNL nel far fronte a una perdita di potere d’acquisto che morde soprattutto nelle grandi città (in primis Milano, da dove scriviamo) nella quali la forbice della disuguaglianza si allarga in una corsa impari tra chi ha, magari sotto forma di rendita, e chi con lo stipendio non ce la fa a vivere dignitosamente.

La cooperazione sociale il tema lo ha affrontato all’inizio del 2024, con la firma del CCNL 2023-2025 che ha portato ad aumenti salariali e al rafforzamento degli istituti contrattuali. Un rinnovo importante, atteso dal 2019, arrivato però in ritardo e già vicino alla sua naturale scadenza. Con la conseguenza di retribuzioni non aggiornate e con la progressiva perdita di fascino per i lavoratori, che rischiano sempre più di non trovare, all’interno della cooperazione sociale, retribuzioni soddisfacenti e adeguate per potere vivere dignitosamente soprattutto in alcune aree del Paese in cui il costo della vita richiederebbe ben altri stipendi.

Nel nostro commento all’accordo tra i sindacati e le centrali cooperative avevamo proposto alcune traiettorie possibili, a partire da una modalità di adeguamento degli stipendi agganciata all’inflazione e all’aumento del costo della vita, con contemporaneo – e non conseguente – adeguamento di canoni e tariffe riconosciuti dagli enti pubblici nei contratti stipulati, siano essi in appalto, in concessione o per qualsivoglia altra via affidati.

“Il lavoro sociale è cruciale per il benessere delle persone, la costruzione di comunità collaborative e la qualità della vita dei territori. Lo vogliamo ribadire in occasione del Primo Maggio perché i circa 350mila professionisti del welfare, della cura e dell’inclusione devono tornare ad essere al centro delle politiche pubbliche e delle istituzioni che devono riconoscere questo ruolo in settori fondamentali per il Paese”, ha sottolineato Legacoopsociali alla vigilia della Festa dei Lavoratori. Siamo d’accordo e ribadiamo che serve più coraggio e meno timidezza, puntando al superamento di alcune storture che ancora rimangano nel contratto per evitare una contrazione dei diritti anche nel nostro settore.

Abbiamo aderito alla campagna Controvento lanciata di Legacoopsociali: quale occasione migliore del Primo Maggio per rilanciare la cooperazione sociale come attore centrale nella definizione delle politiche di welfare, diventando protagonisti di nuovi modelli di sviluppo? Senza accontentarsi di mezze porzioni di diritti ma, come diceva Nino Manfredi in “C’eravamo tanto amati”, ben abbondanti e gratificanti.

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