Odio gli indifferenti

Giu 24, 2024 | Opinioni


Daniele De Luca, giornalista professionista, milanista. Dopo una lunga esperienza a Radio Popolare Milano, AGR, CNRMedia e altre collaborazioni da alcuni anni si occupa principalmente di comunicazione istituzionale e ufficio stampa. 


“L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?”

Antonio Gramsci

Lavorare nei campi per 12 ore al giorno, pagati 5 euro l’ora, senza traccia di un contratto o di assistenza sanitaria. Lavorare 12 ore al giorno per 5 euro l’ora per due anni. Poi capita che, probabilmente per il gran caldo, a un certo punto si possa perdere l’equilibrio, avere un malore, barcollare. Poco distante c’è un macchinario in azione. Lavorare 12 ore al giorno per 5 euro l’ora, svenire per il caldo, perdere l’equilibrio vicino alla macchina, lasciarci un braccio.

Un braccio buttato in un cassonetto dei rifiuti da quello stesso datore di lavoro che sul primo canale della televisione pubblica riesce anche a dire “Lo avevamo avvisato di non avvicinarsi alla macchina, ha fatto una leggerezza, una leggerezza che paghiamo tutti”. Così dice il padrone, dalla televisione dei padroni.

Perché a Latina come a Foggia come a Mantova ci sono ancora i “padroni”. Quelli che nel nome del Made in Italy sfruttano i lavoratori, specialmente stranieri, specialmente senza documenti, perché il sistema del caporalato in nero tiene in piedi la nostra agricoltura e anche la nostra edilizia, la nostra logistica. Tiene in piedi un Paese che vive ormai di bugie, sfruttamento e arroganza.

«Satnam era una persona splendida, ci aiutava come poteva, anche se non parlava bene italiano ci capivamo a gesti”, dice una donna al Corriere della Sera. Noemi e Ilario, in pratica coetanei della coppia indiana, ospitavano da circa un anno i due stranieri: impietositi dalle loro condizioni avevano concesso loro una dépendance nella villa di Borgo Bainsizza in attesa che le condizioni migliorassero. Sony, 24 anni, e il marito Satnam Singh 31, sognavano di regolarizzarsi, racimolare qualche soldo e avere un figlio, e intanto si spaccavano la schiena nei campi, quasi sempre insieme come accaduto nel temporaneo lavoro che stavano svolgendo dai Lovato in strada del Passo.

Satnam Singh è morto a 31 anni due giorni dopo aver perso un braccio in un incidente sul lavoro nei campi di Latina. È stato abbandonato, senza soccorsi, dal titolare dell’azienda per cui lavorava in nero

Quanti come loro in Italia?

Ci sono quasi 3 milioni di lavoratori irregolari in Italia (2.990.000 secondo ISTAT – anno 2021) ma sarebbe meglio chiamarli schiavi. Se si fa un confronto con il lavoro regolare, il tasso di irregolarità è del 12,7%: in pratica, su 100 lavoratori regolari, quasi 13 sono in nero o in grigio (unità di lavoro a tempo pieno: 12,9% tra i dipendenti e 12,3% tra gli indipendenti).

Il settore dove è maggiormente radicata è quello dei servizi alla persona (42,6% l’incidenza), seguito dall’agricoltura (16,8%), il terziario (13,8%) le costruzioni (13,3%), il commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (12,7%). Importante anche il valore dell’economia sommersa, 160 miliardi di euro, che corrispondono all’8,7% del Pil, una cifra così composta: oltre 91 miliardi è rappresentato da sottodichiarazioni, pari al 5% del Pil, poco più di 68 miliardi di euro da lavoro irregolare (3,7% del Pil).

E i controlli? Pochi, pochissimi.

Nel corso dell’attività effettuata da gennaio a dicembre 2023 sono stati scoperti 21.170 lavoratori in nero, di cui 10.156 nel terziario (47,8%) e 2.666 in edilizia; 328.549 irregolari, 36.511 rapporti fittizi, 3.208 vittime di sfruttamento o caporalato, di cui 2.123 in agricoltura e 897 nel terziario. Il lavoro sommerso sottrae risorse al Paese, imprigiona nella precarietà e povertà le persone a partire da quelle che vivono una condizione più fragile e ricattabile come i migranti, le donne, chi è già in stato di bisogno, si alimenta con la competizione sleale tra imprese.

“Lo avevamo avvisato, ha fatto una leggerezza”

Ma da due anni il ‘padrone’ lo faceva lavorare 12 ore al giorno per 5 euro l’ora. E passa come una cosa normale, tanto che l’intervistatore non sembra fare altre domande (o quantomeno quelle domande non sono andate in onda). È normale che uno schiavista si difenda in televisione con una battuta, è normale che una media di cinque persone al giorno affoghino nel Mediterraneo per raggiungere l’Italia o che tre lavoratori in media al giorno muoiano sul posto di lavoro. È normale che chi accusa le Ong di lucrare sull’immigrazione contestualmente, con le leggi in vigore, di fatto aumenti il volume dei “clandestini” potenzialmente sfruttabili da caporali e dalla criminalità organizzata in un terrificante gioco di menzogne e strumentalità, alimentando paure nel segno della “sicurezza” come un serpente che si morde la coda.

In realtà è proprio con queste modalità che si alimenta la totale insicurezza, negando diritti. Per cui è normale che un ragazzo forte al gioco del pallone nato in Italia da genitori stranieri a 16 anni non possa partecipare a un torneo fuori dalla sua Regione, perché non è ancora italiano. È normale che un generale parli di italianità citando la X MAS e che un noto conduttore del servizio pubblico corra in suo aiuto. È normale chiamarsi camerata, è normale fare il saluto romano se partecipi a una commemorazione di nostalgici. È anormale chiedere il nome di chi è affogato per venire ad alimentare il mercato nero e il commercio della paura. È normale per chi ha giurato sulla Costituzione lavorare per distruggerla.

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